(G. Toti) – Difficile pretendere un derby diverso, in una città angustiata come questa. La sfida tra Lazio e Roma, che continua a mantenere un respiro «contradaiolo », incapace di valicare i confini del raccordo anulare, è una sfida tra precari, tra due squadre dall’incerta identità e dall’incerto futuro. Dunque figlia – e specchio – in qualche modo, della realtà sempre più cupa in cui essa si consuma e in cui noi tutti viviamo. Non basta più nemmeno la passione di un pubblico che pure ancora vive – malgrado tutto, e malgrado lo scorrere degli anni – il derby della Capitale come fosse un avvenimento in grado di riscattare, o di accantonare, fosse pure per poche ore, le incalzanti inquietudini quotidiane. Lazio-Roma che si gioca oggi pomeriggio all’Olimpico (ore 15, stracittadina di campionato numero 139) può essenzialmente definirsi come la sintesi più classica di tante promesse iniziali e di inesorabili disillusioni successive. Da una parte la Lazio «casareccia » (19 punti in classifica, quinta), società gestita da un piccolo padre-padrone, Claudio Lotito, le cui limitate risorse economico- finanziarie non consentono di immaginare scenari futuri più radiosi di quelli attuali. I risultati accumulati dai biancocelesti nelle ultime due stagioni (mancato per un soffio l’ingresso in Champions League), per non andare troppo indietro nel tempo, non a caso sono stati vissuti – e considerati – come una sorta di «miracolo» calcistico. E dunque, almeno nel breve e nel medio periodo, impossibili da migliorare, sebbene l’arrivo sulla panchina di un personaggio positivo come Vladimir Petkovic abbia portato con sé una ventata di curiosità e di interesse.
Dall’altra parte la Roma (17 punti, sesta) fintamente internazionale, gestita dalla banca e accompagnata dai «fantasmi» americani, che appaiono per qualche ora e spariscono per mesi. Niente «new deal», sfaldatosi già prima di vedere la luce, ma una società condannata a vivere sulle montagne russe: una settimana al top e l’altra nell’abisso, delusa persino dal ritorno di Zdenek Zeman, bramato da quella parte di tifo nostalgico e pure parecchio smemorato. Forse varrà per il sogno Champions, il derby. Più probabilmente sancirà la (tristissima) supremazia cittadina, «traguardo» davanti al quale – dal 1929 a oggi – hanno dovuto arrestarsi decine e decine di stagioni. Derby piccolo, insomma. O non grande, se si preferisce. Speriamo lo renda più dignitoso il pubblico, nel quinto anniversario della morte di Gabriele Sandri, il tifoso laziale ucciso l’11 novembre 2007 da un colpo di pistola di un poliziotto in un’area di servizio. Pubblico che non è migliore delle due squadre e di questa città. Ma che a volte riesce ancora a sorprendere.