(M.Cecchini) – Brillante, originale, ma soprattutto coraggioso il Pablo Daniel Osvaldo che emerge dall’intervista a «GQ».
Dai gusti letterari («Il poeta antifranchista Joaquin Sabina e lo scrittore nichilista Frédéric Beigbeder») al calcio come recupero dell’infanzia («Vero. Quando gioco con i miei amici sembrano finali da Mundial.
Erano ragazzi, adesso hanno la pancia, ma è la stessa cosa. Io gioco in porta. Se poi perdiamo, lascio i guanti e torno in attacco. Perdere non mi piace»), l’attaccante non si tira indietro neppure quando deve parlare del rapporto con i tifosi.
Lui &i tifosi «In Italia non c’è mai una via di mezzo. Un giorno sei da scudetto e quello dopo da rogo. La mancanza di equilibrio mi fa infuriare, però non posso farci niente. E non ho voglia di fare niente. Il pubblico non ha tutti i diritti. Io perdo una palla e tu mi vomiti addosso il tuo odio? Non è normale.
Quindi se il tifoso sbaglia al lavoro posso andare a picchiarlo, gettargli una banana o dirgli che sua madre è una poco di buono? Bella logica». Titoli di coda sui gay e i compagni venduti. «Omosessualità? La nostra società non è l’Alabama del Cinquanta, ma sul tema siamo indietro.
Un compagno gay in squadra non mi cambierebbe niente. Sono persone libere, prima che calciatori. Se scoprissi un venduto? Ciò che succede nello spogliatoio deve restare lì. Io non faccio il delatore, ma non mi volto. In silenzio, lo ammazzo di botte». Avviso: chi cova idee malsane, meglio che gli stia alla larga.