(F. Bocca) – Tra Zdenek Zeman e Vincenzo Montella ci sono 27 anni di differenza, e quasi altrettanti campionati. Quando Zeman si iscrisse al corso di Coverciano nel ‘78, lui non era ancora entrato alle elementari, ma narra la leggenda che sia stato proprio lui, il boemo, a convincere Sensi a pagare 50 miliardi di lire nel ’99 per comprare quell’attaccante che non avrebbe mai allenato e lasciato invece al ruvido Capello. Si afferma anche, e non la leggenda ma stavolta la cronaca dell’estate, che la Roma zemaniana avrebbe dovuto essere di Montella: ma il matrimonio non s’ebbe a fare per eccesso d’orgoglio d’entrambi. Il Montella trombato l’anno precedente per stendere tappeti rossi a Luis Enrique – «vogliamo dare un segno di discontinuità col passato» disseSabatini – si mise a chiedere di liquidare Bojan e Lamela, di avere uno staff tutto personale, e soprattutto lo stesso ricco gruzzolo dell’asturiano, a risarcimento materiale e morale del precedente calcio nel fondo schiena.Gli altri, gli americani, ossessionati non sempre a torto dal passato dei Sensi, ci videro una sconfessione del loro lavoro e non se ne fece nulla. Dentro Roma-Fiorentina di stasera c’è soprattutto questo.
Un po’ per caso, un po’ per scelta la Fiorentina è diventata un enclave della vecchia Roma: Montella, il direttore sportivo Pradé, uno che ha imparato a far miracoli con le tasche vuote e che a Firenze ha contribuito a costruire una bella squadra, lo scarto Pizarro e così via. Per inciso a Roma vedono pure che la Fiorentina ha più punti in classifica, e un gioco perfino più divertente di quello zemaniano e quindi si fanno delle domande. Montella ha cercato di smussare gli spigoli della ricostruzione, perché nel calcio non si sa mai e perché ha la dote del saper campare e di ben guidare uno spogliatoio. «Non mi sento rimpianto, non ho rancori, sono scelte. L’incontro finito male con Baldini è una leggenda e tale rimane, come quella che non mi piacesse Lamela. Zeman? E’ un allenatore che ha fatto la storia».
L’altro, Zeman, si ritrova – come troppo spesso gli capita, evidentemente – a fare i conti con le conseguenze dei suoi paradossi. E mentre un miglioramento dopo il punto più basso raggiunto nel derby, almeno nei risultati c’è, l’ultima bufera è ancora sul «non integrato» De Rossi, che col boemo non si è mai preso. Né tatticamente, né soprattutto personalmente. «Non mi sta bene quando vengono stravolte le mie parole. Cosa intendevo quando ho detto che non era affiatato con la squadra? Che lui è abituato a giocare in un centrocampo diverso. È un discorso solo tattico». Per quella spericolata affermazione De Rossi, com’è noto, ha chiesto spiegazione. Anche se un calciatore che si fa squalificare tre giornate per mollare pugni in campo spiegazioni dovrebbe darne più che averne. In ogni caso tra gli sponsor di Montella alla Roma c’era proprio De Rossi: «Mi voleva? – ha scherzato il giovane allenatore – allora venga alla Fiorentina». Morale, la brace del caso De Rossi cova ancora sotto la cenere. Firenze si gode il suo Montella che senza star e follie sul mercato ha dato alla viola quel gioco di stile barcellonista, possesso palla, centrocampo e attacco di palleggiatori, che la Roma cercava e non ha mai trovato. La Roma ha ottenuto più risultati quando ha rinunciato al gioco zemaniano ed è stata prudente e speculativa. La Fiorentina riesce agilmente ad andare oltre Jovetic, la Roma è ancora disperatamente legata ai 36 anni di Totti.Ce ne è anche troppo per una partita.