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IL ROMANISTA Il furto di Chievo

Daniele De Rossi

(T. Cagnucci) – Una cosa non esclude l’altra. La Roma doveva e poteva dare di più (doveva mozzicarlo il Chievo, non “giochicchiare”), ma alla Roma ieri gliel’hanno rubata. Così. Paro paro. Secco. Uno a zero per il Chievo con un gol in fuorigioco significa che la cronaca è un commento. Se il gol non vale, la Roma non perde. Non sempre le giustificazioni sono alibi, a volte sono giustificazioni e basta soprattutto se poi giustamente fai delle critiche. Il potere è manicheo, “o fai questo o sei fuori”, “o così oppure niente”.Il potere e la sua odiosa retorica che ti accusa di “vittimismo” per continuare a poter essere carnefice. E il potere non è tanto l’arbitro mandato a fare killeraggio, per esempio, prima di un Roma-Milan, ma è il pacchetto che ti confeziona dopo, con la sua rete di rassicuranti e apparentemente maturi “il calcio è così”, “alla fine tutto si compensa”, “bisogna guardare ai propri limiti per superarli” e via dicendo fino a qualsiasi frase buona per il peggior biglietto perugina. Slogan a buon mercato per coscienze narcotizzate (dal mercato).

Lo dicevano prima di Calciopoli, continuano a dirlo adesso: perché Calciopoli è una categoria dell’anima, non solo ruberia contingente, truffa col telefonino di qualche campionato dei primi anni Duemila. La Roma doveva giocare meglio, ma alla Roma gliel’hanno rubata. Zeman forse ha sbagliato a non schierare dall’inizio De Rossi e Stekelenburg (anzi, senza forse) e molto probabilmente ha sbagliato pure a togliere dal campo Miralem Pjanic quant’è bello, ma alla Roma gliel’hanno rubata. Netto.

La Roma ha perso e doveva giocare meglio ma tra tutte le sconfitte questa è la più ingiusta (anche per come ha giocato, comunque relativamente sobria e quadrata, senza picchi schizofrenici come con l’Udinese e col Bologna). E non è solo il gol di Pellissier, non è nemmeno il rigore su Totti causato da Dainelli, persino più chiaro di quello di Guana su Balzaretti, ma è tutto l’atteggiamento, persino la postura del signor Mauro Bergonzi di Genova che danno fastidio. E’ l’ammonizione di Castan in diffida per un fallo che non c’era che dà il senso dell’ingiustizia, del così è perché a loro pare.

E Bergonzi viene dopo le due espulsioni a Stekelenburg (derby e Juve) e quella ridicola di Osvaldo a Milano, viene dopo l’arbitraggio di Carmine Giuni Russo di Nola in Coppa, e quello di Lino Banti da Livorno contro la Fiorentina. E dopo il rigore inventato per l’Udinese all’Olimpico (risultato finale 2-3), dopo i due gol in fuorigioco convalidati al Catania (risultato finale 2-2), quell’altro in fuorigioco a Parma (un altro 2-3). Troppo? Vero. Meglio il silenzio di Zeman, che resta quello degli innocenti. Lui lo hanno fatto semplicemente fuori per 15 anni. I ladri sono altrove, come disse una volta Osvaldo Bagnoli ai carabinieri (scesi fin lì per il rumore di un vetro rotto) indicando loro lo spogliatoio dello Juventus. Lui allenava il Verona. Che per noi, malgrado ieri, continuerà ad essere la terra dell’ultima trasferta libera prima dello scellerato avvento della Tessera del Tifoso; la trasferta dei ventimila, delle lacrime di Totti e di De Rossi; la trasferta dello striscione “Chi tifa Roma non perde mai”. A meno che non arbitrino i Bergonzi di questo mondo.

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