(C.Zucchelli) – Nella Roma esiste un codice etico. Nei contratti dei tesserati ci sono delle regole ben precise (niente mezzi su due ruote, ad esempio) e i calciatori sono obbligati ad osservarle così come tutti, dai dirigenti allo staff tecnico, sono tenuti ad assicurarsi che questo succeda. Tutte cose che Zdenek Zemansa e sapeva anche prima di presentarsi ieri in conferenza stampa. E allora a cosa si riferiva e riferisce l’allenatore boemo? Quando Zeman parla di «regole che andrebbero scritte» e di «disciplina» non fa riferimento soltanto all’intervista non autorizzata di Stekelenburg. Non è stato il primo caso dell’anno (Pjanic, ma anche Marquinhos ad esempio, hanno parlato senza il permesso della società) ma le parole dell’olandese hanno fatto più rumore di altre e hanno portato il tecnico a chiedere un intervento da parte della società: «Io dico dall’inizio che serve disciplina»,ha spiegato Zeman certificando che i problemi della sua Roma, ancora prima che fisici e tattici, sono di natura caratteriale.
Le regole che Zeman vorrebbe messe per scritto sono regole che a Trigoria nero su bianco mancano dai tempi di Spalletti ma che comunque ci sono e che dovrebbero essere osservate naturalmente dai calciatori, magari spronati e in un certo senso “controllati” dallo staff tecnico. Ad esempio: il fatto che agli allenamenti si debba arrivare puntuali o che durante la riunione tecnica si debba tenere il telefono spento ha bisogno di una regola scritta?, si chiedeva qualcuno ieri a Trigoria dove le parole di Zeman non sono state prese benissimo. Soprattutto perché arrivate in un momento molto delicato della stagione. Da una parte, quindi, c’è la società e dall’altra c’è il tecnico che vorrebbe i dirigenti più vicini in determinate occasioni come, ad esempio, quando qualche giocatore in trasferta si alza tardi e non fa colazione con la squadra (è successo con i brasiliani un paio di volte ma anche con Osvaldo) oppure quando qualcuno decide d’accordo con i medici e non con lo staff tecnico di fare allenamenti personalizzati.
Norme di comportamento generali ma che, in una situazione complicata come quella che si sta vivendo alla Roma per la mancanza di risultati, rischia di diventare esplosiva. Alcune società, che in passato hanno vissuto gli stessi problemi, sono corse ai ripari. Nel Milan, ad esempio, è scritto nero su bianco che i calciatori non possono dare del tu all’allenatore in pubblico. A Firenze sono vietati, e anche questo è scritto, orecchini, collane e quant’altro durante l’allenamento. A Manchester, sponda United, ogni anno Ferguson consegna ai suoi giocatori un memorandum con tutte le indicazioni da seguire. Alcune fanno sorridere, come ad esempio quella che dice che all’interno del centro sportivo la radio delle automobili deve essere tenuta a un volume basso oppure quella secondo cui nessuno può lasciare il campo di allenamento senza aver salutato, anche con un cenno del volto, i compagni.
Con i campioni di oggi o di ieri, che siano Ronaldo o Rooney, Cantona o van Persie, sir Ferguson usa poche ma banali regole: li difende in pubblico e li massacra nello spogliatoio. Se corrono e sudano li gratifica con un «well done», ben fatto, perché sono «le due parole migliori inventate nello sport e perché non c’è bisogno di superlativi». Dai migliori pretende più degli altri: «Se non ti alleni duramente vuol dire che non sei un campione. Un atleta che si sottrae a questa basilare norma di comportamento per me è un uomo morto. Io voglio ragazzi che sposino in pieno la causa del Manchester, almeno fino a che stanno con me». Sarà (anche) per questo che lo United da vent’anni vince di tutto?