Carlo Mazzone, ex allenatore della Roma, ha rilasciato un’intervista in cui ha parlato anche dei giallorossi e di Zeman. Queste le sue parole.
Come passa i giorni l’allenatore con più partite in Serie A?
“Con molta tranquillità. Sto molto bene a casa. Ho una certa età e ho deciso di chiudere la mia carriera. Ora seguo il calcio in televisione, in maniera diversa rispetto a prima, soprattutto dedico speciale attenzione e stima alle squadre e ai giocatori che ho allenato”.
C’è qualcosa che l’ha colpita recentemente?
“Niente di speciale. È vero che in Italia il livello del gioco sta migliorando, con un maggior possesso palla, però lo interpreto come una questione di necessità, niente più. Il calcio è cambiato e anche l’Italia deve adattarsi. Ovviamente, la stessa necessità impedisce al calcio italiano di dimenticarsi del catenaccio, che l’ha reso famoso”.
Eppure ci sono stati movimenti interessanti. Su tutti il ritorno di Mario Balotelli. È una buona notizia per il calcio italiano?
“Dipende dallo spirito. Dal punto di vista tecnico, Balotelli è indiscutibile perché ha tutte le qualità. Si tratta piuttosto di una questione di carattere. Però credo che questi due anni all’estero gli abbiano fatto bene e se viene per aumentare il potenziale della Serie A, non c’è dubbio che è una buona notizia. Solo il tempo lo dirà”.
Ora tocca a Marco Verratti…
“È un grande gocatore, prodotto dei cambiamenti ai quali abbiamo accennato. La virtù nasce dalla necessità e se la realtà economica non permette grandi acquisti come una volta, è naturale che i club scommettano sui propri settori giovanili, cresciuti notevolmente grazie a questi investimenti”.
E lei sa come trattarli i giovani campioni. Ha modellato fuoriclasse del calibro di Andrea Pirlo e Francesco Totti che più di dieci anni dopo continuano a essere decisivi. Come ha fatto a capirlo?
“È una cosa che mi rende felicissimo. Il merito è tutto loro, non penso che sia mio. Ho avuto la fortuna di allenarli quando erano molto giovani e, per come sono fatto, nutro ancora una grande stima verso di loro. Ora li seguo dall’ombra. E sono contento che le cose gli vadano bene, tanto a loro come a tutti gli altri amici che ho fatto nel mondo del pallone”.
A proposito di Pirlo, è stato lei a convincerlo a indietreggiare di qualche metro. È stato difficile per lui tornare a Brescia dopo il fallimento all’Inter?
“No. Sapevo che aveva un carattere speciale, con doti da leader, e che sapeva costruire gioco e smarcarsi bene. Giocava trequartista o seconda punta e gli proposi di indietreggiare la sua posizione per sentirsi più libero. Gli dissi che venti metri più dietro avrebbe segnato meno, ma si sarebbe sentito molto più utile. All’inizio non ne era convinto, però gli chiesi di provare. Due partite dopo, fu lui stesso a darmi ragione. Giocare con Guardiola, al suo ritorno da Roma gli servì tantissimo”.
Un romano come lei, tifoso dichiarato della Roma, lavorando a Brescia. Proprio lì riuscì a costruire qualcosa di indimenticabile…
“Quasi sempre ho allenato squadre di provincia, però la tappa a Brescia la ricordo in maniera speciale. Il club aveva infrastrutture importanti, come quelle delle grandi, che ci permise di poter contare su giocatori dalle qualità enormi: Guardiola e Pirlo sono solo due di questi, c’erano anche Roberto Baggio, Matuzalem, Luca Toni e Stephen Appiah, In questo senso non notavo molto la differenza con i grandi club perché avevamo molta qualità, però è vero che in altre squadre questa differenza era molto più evidente. Sono molto contento di aver avuto la possibilità si allenare quel Brescia. Se la gente si ricorda ancora di noi è perché abbiamo fatto bene”.
Un’altra cosa indimenticabile: la sua esultanza dopo il gol del pari contro l’Atalanta.
“Allora fu diverso. Ci sono cose che vanno oltre il calcio. Ho vissuto molti derby, in tutte le squadre in cui sono stato. Ed è vero che la rivalità tra Brescia e Atalanta è molto sentita, forse troppo. Avevo preparato la partita in una maniera concreta, però le cose non ci riuscivano. Quando segnarono il 3-1, i tifosi della curva iniziarono a insultare me e mia madre. Quel giorno esagerarono. Mi si possono rimproverare molte cose, però non ho mai preparato un incontro con cattiveria, ho sempre cercato di essere leale. Quei cantici mi fecero perdere la ragione e mi dimenticai della partita. Baggio mi fece un regalo, visto che i suoi tre gol servirono a pareggiare. Quando segnò il terzo, non riuscì a trattenermi. Dovevo espellere tutta la frustrazione e l’amarezza che avevo accumulato. Dopo si dissero molte stupidaggini, però chi vuol capire, capisca e chi no…”.
Tornando alla Roma, non le sembra eccessiva tutta questa tensione?
“Senza dubbio. Si sta esagerando molto. È necessario essere pazienti, specialmente quando si cotruisce una squadra da zero. La Roma ha un allenatore fantastico però non ha avuto molta fortuna finora, anche se è vero che ci sono stati degli errori. Però è un guppo completamente nuovo in una città terribilmente difficile. Solo sette mesi fa, l’arrivo di Zeman generò un grandissimo entusismo. E lui non inganna mai. Tutti sanno quali sono le sue idee. Quello che non può essere è che dopo soli tre mesi gli si chieda di cambiare. Pazienza. Bisogna aspettare la fine della stagione per fare i conti. Mandarlo via ora sarebbe la cosa peggiore per la Roma”.
Dice di essere in pensione, ma se un amico come Totti gli chiedesse di tornare alla Roma, lo farebbe?
“No. Sono coerente con la mia decisione di ritirarmi. Ho un’età e credo che la cosa migliore sia lasciare il posto a gente più giovane. Non sarebbe una scommessa né coraggiosa né vincente”.
Fonte: ilcatenaccio.es