(V. Meta) – Fra le facce più o meno tirate che venerdì sera sfilavano in zona mista, quella di Aurelio Andreazzoli si distingueva per il sorriso teso. «Buonasera» rispondeva a denti stretti a chi sussurrando lo apostrofava come «il nuovo allenatore della Roma», ma che per lui si preparassero ore decisive era qualcosa di più di un’intuizione. È uno abituato a lavorare nell’ombra, il successore di Zeman, uno che il suo momento di gloria l’ha conosciuto nell’ottobre 2006, portato alla ribalta daRodrigo Taddei che diede il suo nome alla finta eseguita ad Atene contro l’Olympiacos e destinata a spopolare sul web. «Vediamo se hai il coraggio di farla in una partita vera» aveva sfidato il brasiliano vedendolo provare il numero in allenamento. Taddei non se lo fece ripetere due volte e lo omaggiò anche di dedica battezzando la finta “Aurelio”.
Toscano di Massa Carrara, cinquantaquattro anni da compiere a novembre, a Roma ci è arrivato insieme a Luciano Spalletti, incontrato per la prima volta al Master di Coverciano, quando l’attuale tecnico dello Zenit allenava la Sampdoria e lui i dilettanti del Tempio. I due, che erano stati rivali da allenatori delle giovanili sulle panchine di Massese ed Empoli, finirono invece per diventare amici. La stima fu subito reciproca, al punto che Spalletti lo volle con sé quando passò ad allenare l’Udinese nel 2003 (insieme centreranno una qualificazione in Europa League e una, storica, in Champions League) e poi ancora al momento del salto sulla panchina della Roma, dove si occupava, fra le altre cose, dello studio degli avversari.
E proprio l’osservazione quasi maniacale degli schemi altrui è uno dei suoi segreti: instancabile visionatore di dvd che diventano relazioni dettagliate su squadre e giocatori, ha messo quest’attidudine a disposizione della Roma anche dopo le dimissioni di Luciano Spalletti. Quando Vincenzo Montella subentrò a Claudio Ranieri due stagioni fa, era lui quello che dei due aveva il teserino buono per allenare in Serie A, mentre con l’arrivo di Luis Enrique, il suo contributo era considerato particolarmente prezioso per i rapporti fra lo staff spagnolo e i giocatori italiani.
È rimasto anche con Zeman, unico superstite della grande stagione spallettiana insieme ai tre campioni del Mondo, Totti, De Rossi e Perrotta, e al suo pupillo Taddei. Nel 4-2-3-1 che per tre anni fece stropicciare gli occhi a tutta Italia e portò alla Roma uno scudetto lungo un’ora, c’era anche la sua mano. Molto stimato dai giocatori, il nuovo tecnico giallorosso è uno che conosce bene l’ambiete di Trigoria, visto che oltre a lavorarvi quotidianamente da quasi dieci anni, abita nel centro tecnico. Certo per tirare la Roma fuori dal pantano in cui si è cacciata, a livello di gioco, risultati e testa, avrà bisogno di tutto il suo sangue freddo.