Quando Thomas DiBenedetto, James Pallotta, Michael Ruane e Richard D’Amore comprano l’As Roma, nell’estate del 2011, promettono un rilancio internazionale della squadra di calcio capitolina e la costruzione di uno stadio di proprietà. Funzionale allo scopo è anche uno sviluppo immobiliare, con shopping mall e palazzine residenziali. In America non ci sono troppe restrizioni per operazioni immobiliari a livello locale di questo tipo, specie se si profila un grosso investimento che porta lavoro. Invece, in Italia, l’operazione Roma si complica: di permessi non si parla, passa un anno e non succede nulla e gli investitori si dileguano. Uno di questi, che opera nel settore del calcio in America, ma anche in quello immobiliare, poteva essere la soluzione perfetta. E in effetti era molto interessato: «Avrei attivato sinergie interessanti con i miei progetti negli Usa – dice al Sole 24 Ore, chiedendo riservatezza sul suo nome -. Poi ho capito che il progetto stadio era molto lontano e ho lasciato. Inutile investire nell’incertezza». Certo, ora il progetto pare sbloccato: è stato annunciato l’inizio dei lavori nel 2014, con calcio d’avvio nel 2016. Ma le difficoltà finanziarie restano: Luca Parnasi, il costruttore romano che si è aggiudicato la commessa, ha al momento più debiti che ricavi. E l’investitore interpellato nel frattempo è rimasto fuori. Ha immobilizzato i suoi fondi in altro modo. Chi pagherà?