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SPORT WEEK Osvaldo: il mio calcio è un rock (arrabbiato)

Osvaldo

(G. Facchetti) – Abbiamo incontrato Pablo Daniel Osvaldo nel giorno in cui Roma era gremita di fedeli in attesa del nuovo Papa: caso vuole che sia stato eletto un argentino come lui. Anche i suoi tifosi, fedelissimi della Lupa, aspettano dall’attaccante di Buenos Aires la fumata giallorossa: un gol che metta fine a un digiuno che dura da 55 giorni (l’ulitmo è arrivato in Bologna-Roma 3-3 del 27 gennaio). Sapendo che nella capitale in questo momento sono tutti arrabbiati con lui, noi di Sportweek siamo andati a Trigoria per “confessarlo”. Ma la sua partenza, come da ruolo, è all’attacco

«Quello che mi fa arrabbiare è che si dica che io sia un menefreghista e allo stesso tempo un tipo nervoso. Ditemelo voi: mi sta a cuore o no quello che faccio? Io dico di si. Certo, non è facile questo mio momento perché gli errori sono stati tanti. Sono un attaccante e vivo di gole se manca quello sembra manchi tutto. Ma – aggiunge Osvaldo – quando leggo sui giornali che la mia non sarebbe un’annata positiva e contemporaneamente sarebbero interessate a me squadre come Chelsea, Tottenham e Juventus, non mi tornano bene i conti. Se qualcuno pensa a me, immagino sia perché qualcosa di buono l’avrò pur fatto, no? Quando si parla del sottoscritto non è difficile ascoltare cose contraddittorie».

Quindi non ha niente da rimproverarsi?
«Forse in qualche occasione ho tenuto un atteggiamento sbagliato, che non mi ha aiutato. E a livello di numeri non nascondo che mi aspettavo di fare qualcosa di più, ma sono comunque contento di quel che ho combinato (in questa stagione ha segnato 11 gol, di cui due su calcio di rigore, ndr)».

Al secondo anno di permanenza nella Capitale, che idea si è fatto della città?

«Roma è una piazza molto calda e appassionata, bella per tanti aspetti, non facile per altri. Me ne sto accorgendo soprattutto in questo periodo».

Che cosa le dà più fastidio?

«La critica gratuita fatta con cattiveria e le bugie delle radio locali. Sono tantissime e poiché devono dire per forza qualcosa, piuttosto che tacere inventano. Si parla di tutto tranne che di calcio, ormai lo so, ma questo brusio fatico a digerirlo. Un giorno qualcuno ha scritto su un sito che era morta mia mamma. Mi svegliarono alle 7 di mattina per dirmelo, piangevo spaventato, chiamai subito casa e scoprii che non era vero. Non c’è molto da aggiungere. Anzi, si, sia chiaro che in tutte queste vicende non mi sto riferendo ai nostri tifosi».

Al di là del calcio, Roma come la vive?

«Sto quasi sempre a casa, mi piace molto la città, ma vorrei godermela di più».

Non si sente libero di girare per strada?

«Dovrebbe venire un giorno con me per capire…».

Bergamo, Lecce, Bologna, Firenze, Roma. Che cosa l’ha spinta a cambiare spesso maglia e città?

«E’ la mia indole, sono un po’ nomade. A volte ho cambiato per chiudere con una piazza con cui non c’era più feeling; altre volte mi sono guadagnato sul campo la possibilità di andare a stare meglio. La Roma è arrivata così, una grande opportunità conquistata a suon di gol».

E il salto dall’Argentina all’Italia come l’aveva vissuto?

«I primi mesi furono durissimi, piangevo spesso. Pochi giorni dopo il mio arrivo a Bergamo avrei compiuto vent’anni: quella sera ero solo in un albergo in mezzo alle fabbriche, il compleanno più brutto della mia vita, mi sarei fumato un pacchetto di sigarette per non impazzire».

Rimpiange qualcosa della sua giovinezza?

«Certe rinunce allora mi costavano parecchio però non ho rimpianti, ne è valsa la pena».

Che cosa le manca più del suo paese?

«La famiglia, gli amici e soprattutto il mio primo figlio, Gianluca, che ha 7 anni ed è ancora lì. Per fortuna ora vivo con la mia fidanzata Jimena, la sua presenza mi dà forza. Con lei vicino ho molta meno nostalgia di casa».

E’ innamorato?

«Moltissimo (mostra orgogliosamente l’anello di fidanzamento, ndr). Prima di incontrarla, avevo la tendenza a scappare dai problemi. Che ne so, d’istinto avrei potuto prendere un aereo».

Oltre a Gianluca ha due figlie, Victoria di 3 anni e Maria Helena di uno, avute da un’altra relazione e che vivono con la madre in Italia. Non sogna una famiglia tutta sua?

«Sarebbe bellissimo un giorno poter vivere con tutti i miei figli riuniti, spero un domani di farcela».

Lei che papà è?

«Molto innamorato dei miei bambini. Li ho visti nascere, la magia del momento del parto non la posso dimenticare. Pur non vedendoli spesso cerco di fare quello che posso. Con loro mi manca soprattutto la quotidianità, il tempo».

Ha radici italiane da parte di madre, il suo bisnonno era anconetano, di Filottrano: per questo ha scelto la maglia dell’Italia?

«E’ stata una scelta naturale, del resto avevo già esordito con l’Under 21. Il calcio italiano ha sempre avuto fiducia in me, ancora oggi Prandelli continua a seguirmi con attenzione. Se aggiungo che i miei figli sono tutti nati qui non posso che essere fiero di questa decisione».

Abbiamo visto che lei ha una bella chitarra. La sa suonare bene?

«Oltre a quella elettrica, ne ho una classica. Prendevo lezioni da un maestro, quando ho imparato i primi accordi e ho iniziato a strimpellare da solo ho smesso. Ho sbagliato, perché adesso mi sono incartato. Però la musica è una grande passione e ho un buon orecchio».

Porta al collo un ciondolo con la lingua dei Rolling Stones. E’ il suo gruppo preferito?

«Dopo i Pink Floyd! Per questo periodo un po’ così però la musica degli Stones è decisamente migliore».

Perché?

«La mia fidanzata mi prende in giro, dice che voglio farmi male e buttarmi ancora più giù ascoltando certi brani. In effetti i testi dei Pink Floyd sono un po’ tragici. Così, per tirarmi fuori dai miei pensieri, fa di tutto per indirizzarmi verso le canzoni dei Led Zeppelin o di Jimi Hendrix».

Lei pensa tanto? 

«Si, troppo. Con me stesso sono molto critico».

Le piace leggere?

«In questo momento sto scoprendo 1984 di George Orwell. Interessante…».

Per vivere bene che cosa le occorre?

«La felicità è uno stato d’animo e talvolta non c’è. Ma io sono uno che non si accontenta mai. In questo periodo essere sereno, in pace, è quello che un po’ mi manca».

E il futuro come lo vede?

«Sto cercando di vivere il ‘qui e ora’ dimenticandomi di quello che sarà dopo; mi sto sforzando ma non è facile, la mente tante volte ti tradisce».

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