(Pigozzi) – Il talento in un capolavoro genetico. Meno di dieci parole per spiegare dal punto di vista medico la longevità di Francesco Totti.
Nella stagione che vide il suo esordio a Brescia, io seguivo la squadra quale responsabile dello staff medico della Roma, di Francesco avevo i dati funzionali di un grande atleta a inizio carriera. Numeri legati alle caratteristiche fisiologiche e alle doti prestazionali che si univano all’estro di un ragazzo voluto a tutti i costi da Boskov al seguito della prima squadra. Vent’anni dopo, dal mio punto di vista non posso non sottolineare la sua straordinaria evoluzione psicofisica.
Rimanere al vertice di uno sport tanto usurante, richiede non solo doti sportive uniche, ma una tenuta atletica che pochi calciatori sono in grado di mostrare tanto a lungo. Sono convinto che Francesco in questi vent’anni abbia saputo lavorare costantemente sull’allenamento, i carichi di lavoro, l’alimentazione, e in generale su una vita senza sbavature fuori dal campo perché è noto che comportamenti non salutari alla lunga logorano il fisico. Totti a 36 anni dimostra una volta di più come il talento accompagnato a uno stile di vita intelligente possa allungare i confini della carriera. Nel suo caso però, alla doppia caratteristica di atleta e talentuoso calciatore, se ne unisce una terza, in grado di trasformare un grande giocatore nel campione che viene ancora oggi applaudito. Sono le doti caratteriali come la maturità, la determinazione, la tenuta psicologica, quelle qualità che a trent’anni gli hanno consentito di superare un infortunio drammatico (grazie anche allo straordinario staff medico che lo seguì in quell’occasione) e ripresentarsi in pochi mesi al mondiale e verso una nuova carriera che sembrava conclusa prematuramente.