A forza di dirgli che è lontano, che non guarda in faccia né la squadra né la città né i tifosi; che un presidente da noi fa un altro lavoro e visto che ha voluto la bicicletta, accidenti, adesso deve pedalare; dicendogli tutto questo e molto di peggio hanno convinto James Pallotta a concedersi alla platea.
Pallotta, boss dell’As Roma, quella che vuole diventare azienda, marchio internazionale, brand da brandire davanti all’Europa del pallone intera, ieri era un tifoso. Un tifoso privilegiato, però un tifoso. Con la sciarpa al collo. «Mi sono divertito perché è stata una partita emozionante. Certo, avrei preferito vincere. Avremmo potuto vincere». Potuto e dovuto, probabilmente, ma non sempre il dovere e il potere coincidono con il destino.
Pallotta ha salvato il suo record di presidente imbattuto quando è allo stadio, anche se sinora nei suoi viaggi in Italia aveva sempre vinto. Non ha accolto le provocazioni del numero uno della Lazio, Claudio Lotito (incontrato, cordialmente, prima del match), al quale piace sempre sottolineare come la Lazio sia nata prima e lui sia nato calcisticamente prima e altre puntigliose sottolineature del genere. Pallotta si è dato vent’anni non per vincere ma come limite minimo del suo impegno nella Roma. Vediamo se resisterà tanto in una città che molto dona e molto pretende, in un calcio che molto costa e poco restituisce.
Fonte: Corriere dello Sport