(G.Scarlata) Una medaglia al collo è il simbolo di un successo, di un traguardo raggiunto. Ma una vittoria non ha una sola natura, sportiva ad esempio, ma sociale. Diventare uomini migliori e raggiungere i propri scopi può trasformarsi in un sogno realizzato.Claudio Amendola in «La mossa del pinguino» debutta da regista e lo fa raccontando una storia di sport all’interno di percorso di vita, in un turbinio di emozioni. Attraverso il sogno olimpico di Torino 2006 si lancia un messaggio preciso.
Ma Claudio Amendola oltre a emozionare, sa emozionarsi?
«Piango come un bambino se vedo un podio di un qualsiasi atleta che ha compiuto un grande sforzo per arrivare a medaglia. Sono sensibile e lo sport mi trasmette emozioni forti».
Da dove nasce questa voglia di girare un film sullo sport?
«Ho sempre voluto raccontare una storia di sport, ma quello vero, amatoriale, fatto di passione, sudore, abnegazione. Insomma raccontare l’essenza. E grazie alla giusta sceneggiatura scritta insieme a Edoardo Leo ci sono riuscito».
Come è maturato questo amore per lo sport?
«Fin da piccolo sono sempre stato uno sportivo, grazie a mio padre che mi portava in giro. Potevo fare il pugile, avevo anche una bella “saracca”, forse il calciatore no».
Ha scelto il curling. Perché non il calcio?
«Nonostante mi diverto ancora a giocare partite di calciotto tra amici, non mi piace quello che invece ruota attorno, mi sono davvero stufato, è un calcio che ti tradisce per le tante sfaccettature negative.
Quali?
«C’è tanta dietrologia, si parla tanto, forse troppo. E dell’aggressività che c’è in campo e fuori non ne parliamo, le tante bugie che si raccontano, la gente che ancora si picchia, i capricci dei giocatori, le scuole calcio che non insegnano i giusti valori. In tutto questo non mi riconosco. Circa 23 anni fa ho girato un altro film sul calcio, «Ultrà». Ora basta.
Quindi non guarda più le partite?
«Assolutamente no. Il tifo è tutta un’altra cosa. La domenica sciarpa attorno alla tv, birra e si tifa Roma, che è come la mamma, e si urla anche».
Magari al gol di Totti. E perché non un film su di lui?
«Mi sarebbe piaciuto, ma costava troppo in diritti d’immagine (ride, ndr), forse un domani, chiuderò la carriera così».
E del Capitano che ci dice?
«Un fenomeno. È grazie a lui se la Roma è lì. Dovrebbe giocare ancora per 3-4 anni, ti garantisce sempre quei 15-16 gol a campionato, sta in gran forma».
Le piace la Roma di quest’anno?
«Mi piaceva il gioco di Zdenek Zeman, pensavo che come scelta potesse essere rispettata. Se l’hai scelto poi lo dovevi tenere fino alla fine perché lo sai com’è. Al momento la situazione non è delle migliori, sono molto deluso. Speriamo di raggiungere la finale di Coppa Italia».
Si è parlato molto del derby, sarebbe una sconfitta giocarlo a porte chiuse?
«Assolutamente si, il derby va disputato sempre a porte aperte, è uno spettacolo unico in tutto il mondo. Magari di giorno, però».
Le piace questa dirigenza, questa nuova Roma?
«Io sono un sensiano, un nostalgico del calcio di casa nostra. Mi piaceva la Roma dei romani».