Di progetto non si parla più, con le imprese ci siamo. L’ultima, ieri con il Pescara. Impossibile, anche volendolo, pareggiare in casa con questo mucchio di onesti manovali della palla già retrocessi da sempre, presi a sberle da chiunque, messi insieme alla buona da un ragazzo che sta imparando a fare l’allenatore facendolo. La Roma ci è riuscita con un’applicazione feroce. Prima replicando da manuale il pachidermico nulla già esibito nei primi tempi con Inter, Torino, Lazio e Palermo, poi dedicandosi con abilità rara a un finto arrembaggio e vanificandolo con un ventaglio di ottuse soluzioni e palle ovvie, tutte a spiovere nella comoda pertinenza di Pelizzoli, mani di polipo. E tutto questo nella giornata in cui Napoli e Fiorentina dimostravano, contro avversarie ben più strumentate, che quando si deve vincere si vince. In qualsiasi modo. Concetto che la Roma fa suo rovesciandolo. Quando si deve vincere, non si vince mai.
Qualcuno mi sa dare una definizione più esatta di «perdente»?Dentro un campionato mortificato da un lezzo irrespirabile di mediocrità, la Roma non fa mancare il suo contributo. Senza coppe da giocare, con una rosa inferiore, forse, solo a quella della Juve, arriva alle sentenze che contano con una squadra spompata, annebbiata nei muscoli e nella testa. Un manipolo di geni a gettone oggi ci spiegherà il perché da tutti i microfoni della capitale. Sta di fatto che il fallimento è persino troppo plateale per essere dichiarato.(…) Aspettando questa finale di Coppa Italia che, ora sappiamo, sarà giocata da due squadre parecchio meschinelle. Le trombe faranno il loro mestiere a gonfiare l’evento e forse la Roma ce la farà pure ad artigliare uno strapuntino in Europa.
Fonte: Corriere Dello Sport