(A. Costa) – Mercoledì 21 maggio 2008, stadio Luzhniki di Mosca. La nascita del fair play finanziario, che nelle intenzioni dovrebbe costringere i club a diventare più virtuosi obbligandoli a non spendere più di quello che generano, si fa risalire alla finale di Champions League tra Manchester United e Chelsea, per la cronaca vinta ai rigori dai diavoli rossi di sir Alex Ferguson. Quella sera Michel Platini, da poco più di un anno presidente dell’Uefa, fu sentito esclamare: «È una vergogna che a vincere la Champions sia un club pieno di debiti», allusione alle esposizioni dello United verso il sistema bancario e del Chelsea nei confronti di Roman Abramovich, il suo proprietario.
Passata la buriana qualcuno spiegò a roi Michel che, di per sé, i debiti, non possono essere considerati un cancro visto che è prassi usuale per qualsiasi azienda, anche in piena salute, finanziarsi attraverso le banche. Ovviamente non è questo il caso dei debiti scaduti e non saldati: al Malaga, per esempio, sono stati congelati i premi della Champions League per non avere pagato gli stipendi dei giocatori. L’Uefa ha così modificato il tiro in corsa, decidendo di controllare i comportamenti dei club allo scopo di stroncarne gli stili di vita superiori alle possibilità di ciascuno. Pertanto a partire da questa stagione le spese devono essere strettamente connesse ai ricavi e sono vietati gli interventi degli azionisti per ripianare il rosso di bilancio. Il nuovo sistema di controllo entrerà a pieno regime a far data dalla stagione 2014-2015 però, nel frattempo, è stata attivata una sorta di camera di compensazione che per un biennio (2013-2015) consentirà di sfondare di 45 milioni il tetto delle spese possibili in relazione al proprio fatturato, 30 per il successivo triennio (2015-2018). In questa ottica sarà interessante verificare come, tra un anno, il Paris Saint Germain avrà saputo giustificare la sponsorizzazione retroattiva di 200 milioni (a stagione) con la Qatar Tourism Authority per una non meglio precisata promozione turistica dell’Emirato totalmente al di fuori dei valori di mercato.
Resta il fatto che, alla luce delle norme europee, il fair play in cui tanto confida Platini appare vulnerabile come un castello di sabbia. È dunque lecito attendersi azioni legali a raffica quando le danze partiranno sul serio. Sul Wall Street Journal l’avvocato Jean Louis Dupont (quello dello storico caso- Bosman) ha definito il fair play finanziario «un accordo di cartello per sancire lo status quo del potere nel pallone europeo ». Uno degli effetti della riforma voluta dall’Uefa rischia infatti di essere la cristallizzazione: l’impossibilità di spendere più di quanto si ricava impedirà, a chi lo volesse, di crescere attraverso gli investimenti degli azionisti. Per questo diventa sempre più vitale l’accesso alla Champions che garantisce tra i 25 e i 40 milioni di euro annui. «L’Uefa non è uno stato ma un’organizzazione privata e non può imporre a un soggetto l’uso che deve fare del suo denaro » sostiene un principe del foro italiano.
Una forte corrente di pensiero è convinta infatti che le norme relative al fair play finanziario: 1) contraddicano le regole europee sulla concorrenza;2) limitino la circolazione dei capitali all’interno della Comunità; 3) ledano le libertà individuali (io, proprietario, nella mia azienda metto i soldi che voglio). A questo proposito gli articoli 16 e 17 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali garantiti dall’Unione Europea tutelano la libertà d’impresa e il diritto a disporre a proprio piacimento dei beni acquisiti legalmente.Risultato: forse è il caso che nei prossimi mesi Platini, abituato a fare gol, si prepari a giocare in difesa.