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IL ROMANISTA Non una stagione, ma la nostra vita

Genoa-Roma 8 maggio 1983

(T. Cagnucci) – Credo che tutto sia nato in quel periodo. Tutto quello che ancora ci fa ostinatamente, profondamente, spontaneamente romanisti ha le sue radici in quella stagione. Che non è stata solo un campionato, ma un percorso di felicità, quella strada facendo che ogni tanto, ma quasi mai, ti porta in un bel posto.

Un’infanzia felice anche per chi nel 1983 non era un ragazzino. E’ stata una vita il 1982/83. È stata una generazione unita. È stata una società. È stata una sfida. È stato lungo tutto quell’anno, dentro ci contavi i secondi di 41 anni di attesa (e ancora te li ripassi, i filmati e i minuti dei gol). Ci trovavi non una stagione, non un anno ma la nostra formazione sentimentale. Cioè sia Tancredi -Nela-Vierchowod eccetera, sia il nostro amore. E non era una parolaccia. E non ti vergognavi. Lottavi con il cuore per vincere il Tricolore. Non è stato solo un campionato. Quando l’8 maggio 1983 Paulo Roberto Falcao prese davanti alla Rai la parola negli spogliatoi di Marassi, cominciò a ringraziare tutti i suoi compagni, cominciando da Santarini, Turone e poi Scarnecchia, cioè da chi non c’era, ma che anni prima aveva iniziato a costruire questo tutto. In questi casi si scrive che sembra ieri quel momento lì, invece non è così. Perché è vero che non sembrano essere passati trent’anni ma perché questi trent’anni, per certi versi, sono stati quasi inutili rispetto a quello lì: abbiamo talmente seminato che non so quando smetteremo di raccoglierne i frutti.

E’ lì che l’Olimpico è diventato un luogo di luce e di profumo, che la Roma era un brivido che t’emozionavi a leggerla in schedina la parola “Roma” (bianca su sfondo verde). Masetti in tribuna al Ferraris, Pruzzo di testa sotto la sua Gradinata col cross di Agostino, la vigilia passata il giorno prima a preparare l’esodo verso Genova, a vedere tutti gli speciali possibili su tutte le tramissioni private possibili che in quel periodo vivevano anche loro la loro epoca di sogno. “Roma go” di Pato incisa prima ancora di quel giorno, Forza Roma Forza Lupi l’inno che sentivi mentre Galeazzi intervistava ancora in campo i giocatori, i giocatori che erano Giocatori. I giocatori che erano Di Bartolomei. Eravamo tutti capitani. Dai ragazzi della Sud agli uomini che stiamo ancora diventando. E prima e durante dopo, sempre e comunque un’emozione. La Roma era dappertutto nel 1982/83. La Roma era dappertutto a scuola, negli zainetti, sulle scritte UR dei muri a San Lorenzo, sui ballatoi, tra tram e fuori e dentro i ministeri, come conforto dopo il dentista, come coraggio prima di un esame, ed era un’emozione soprattutto. La Roma era dappertutto. Ed era tutta nel cuore del suo Capitano. Lui quello scudetto l’ha vinto dando prima un pugno al cielo a Pisa per poi mandargli un bacio dopo il gol con l’Avellino. Credo che Di Bartolomei sia stato un uomo così innamorato che ha cercato a tutti i costi di continuare a vivere quell’anno, quel momento. Credo che tutto sia nato in quel periodo e credo che tutto quello che sia nato in quel periodo lì non potrà morire mai.

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