(F.Bocca) “E’ un vero peccato che Falcao lasci Roma: si potrebbe fare qualcosa?”. E come non si poteva: altrimenti cosa l’ aveva a fare un santo in paradiso questa Roma così protetta da San Giulio? La raccomandazione a Andreotti – correvano i formidabili anni 80, quelli del duello con la Juve della Fiat – non venne dalla società o dai tifosi ormai rassegnati a vedere il loro idolo brasiliano andarsene all’ Inter, ma niente meno che da Papa Wojtyla. Andreotti aveva accompagnato in Vaticano il senatore Viola e la squadra dello scudetto: il Papa aveva pensato bene di interessarsi personalmente al caso Falcao che riempiva allora i giornali, chiedendo al presidente del Consiglio che si adoperasse affinchè la romanità non perdesse il suo campione.
Nemmeno a dirlo: Falcao restò alla Roma. Altri tempi, povera Roma. Finge indifferenza adesso SuperGiulio, impegnato in un convegno della Dc a Camaldoli, ben lontano dai clamori della piazza giallorossa, furibonda e depressa al tempo stesso: come farà Giuseppe Ciarrapico, diventato presidente della squadra anche grazie ad Andreotti, a mantenere le promesse di gloria e scudetti indossando i panni del detenuto o del latitante? Povera Roma: se nel calcio bastasse avere un santo in paradiso avrebbe già sorpassato Milan, Inter e Juventus.
Storia ufficiale e leggende popolari. Un po’ la passionaccia di chi da ragazzo andava a giocare a palletta nelle piazzette del centro di Roma con Fulvio Bernardini, un po’ il calcolo che chi va allo stadio spesso deve andare anche a votare. La leggenda popolare vuole che Andreotti metta bocca nelle cose del calcio e della Roma da una trentina d’ anni, da quando cioè Franco Evangelisti, allora segretario regionale della Dc, pensò bene di rilevare la società dal vecchio conte Francesco Marini Dettina. Ma la storia ufficiale del calcio e della Dc dice che Andreotti allora era contrario alla presidenza Evangelisti. Perchè nel pallone le piazze fanno presto a rovesciarsi, e i voti così come salgono fanno presto a crollare. Evangelisti se ne andò nel ‘ 68: dopo di lui si cambiò rotta. Dopo i politici arrivarono i palazzinari e gli industriali. Alvaro Marchini che metteva cemento su cemento frequentando Evangelisti da una parte e il Pci dall’ altra. Oppure ancora Gaetano Anzalone, altro grande costruttore di periferie. E la Dc e Andreotti erano sempre vicini. Cambiavano i presidenti, ma con i bilanci si facevano sempre i salti mortali. In un vecchio libro celebrativo sulla Roma commissionato dallo stesso Anzalone si legge: “Del consiglio di amministrazione fanno parte dirigenti di lunga milizia giallorossa e dirigenti nuovi, immessi per la loro sportività, non disgiunta dal loro impegno politico”. Insomma un santo in paradiso faceva comodo. Anche se quelli erano anni in cui le cose andavano male e i giocatori – Capello, Landini e Spinosi per primi – partivano spesso per la Juve.
Pur essendone stato sempre il grande sponsor, Andreotti non ha mai accettato cariche nella Roma. Negli ultimi anni i servizi di sicurezza gli avevano consigliato di non frequentare lo stadio: è pericoloso stare un’ ora e mezza a sedere sempre allo stesso posto, qualcuno potrebbe riuscire a puntare una canna di fucile sul bersaglio. Andreotti preferisce l’ ippodromo dove ci si può muovere. E nel frattempo mettere a posto le cose dello sport romano: fu alle Capannelle, un giorno guardando col binocolo i purosangue sul traguardo, che qualcuno lo sentì dire a Luciano Gaucci e Renato Bocchi, noti imprenditori romani: “Mettetevi d’ accordo su chi di voi due deve prendere la Lazio”. E fu Andreotti a spingere Dino Viola a prendere la Roma da Anzalone, e a gettarlo nella mischia politica dopo lo scudetto. Un rastrellamento di voti – 32.799 preferenze alla Camera, 27.439 al Senato – che fece scalpore. E che colpì al cuore il Pci proprio nei quartieri più popolari: “Non votare viola, vota giallorosso” dicevano i manifesti comunisti con uno scudetto lillà, e la falce e martello bicolori.
Un occulto manovratore. Il senatore Viola, manovratore occulto delle cose del pallone, se lo teneva stretto SuperGiulio. Anche se qualche volta lo soffriva: “Andreotti ci rende antipatici. Agnelli spende miliardi per la Juve e l’ onorevole nemmeno una lira per la Roma: ci dia almeno cinquecento milioni”. E fu Andreotti nel suo studio, davanti ai figli del senatore morto per un tumore agli inizi del ‘ 91, a prospettare loro le ipotesi di cessione a Giuseppe Ciarrapico o a Luciano Gaucci. Fu scelto Ciarrapico: uomo che confondeva il calcio con una partita a bocce, mandato allo sbaraglio anche con la benedizione di Antonio Matarrese, presidente della Figc, altro andreottiano di ferro. L’ operazione fece andare su tutte le furie lo “squalo” romano, nemico personale del Ciarra, Vittorio Sbardella, che tirava la volata a Caltagirone. “Il presidente non si interesserà al futuro della Roma” fanno sapere gli uomini di Andreotti. Potrebbe anche essere vero, forse non è più tempo di immischiarsi in cose di pallone. Del resto un paio di anni fa SuperGiulio disse: “Nel calcio ho fatto una lunga carriera, non come giocatore, perchè ero una schiappa, ma come tifoso. Dagli alberi intorno al campo di Testaccio, sono finito alla tribuna d’ onore”.