Se torniamo a parlare di Balotelli non è per cercare assoluzione ma per fare una precisazione. Doverosa.
Non ci piacciono i “Buh” o gli ululati di alcun tipo rivolti a giocatori neri o mulatti, così come andrebbero debellati, perché non meno gravi, i cori che danno delle prostitute alle toscane, che apostrofano come bastardi noi romani, che incitano il Vesuvio e l’Etna a fare “pulizia” e chi più ne ha più ne metta. In mancanza dei comfort che hanno gli stadi negli altri paesi, da noi pullulano malcostume e idiozia. Lo sappiamo bene, tuttavia continuiamo a procedere per palliativi e a profondere retorica inutile.
Detto questo, quanto accaduto domenica sera a San Siro non può essere liquidato con le ovvietà e la faciloneria di certe condanne che stiamo leggendo e ascoltando da lunedì mattina. C’è di mezzo Mario Balotelli, un personaggio ancor prima che un calciatore che in quanto a provocazioni e comportamenti che istigano le tifoserie avversarie non ha colore: cioè, potrebbe essere albino, orientale, indio e questo non farebbe alcuna differenza in quanto a catalizzazione delle invettive altrui. Una cosa che hanno già rilevato in tanto è però una verità incontrovertibile: il Milan domenica sera schierava quasi mezza squadra con pelle nera e un giocatore in particolare, Muntari, si era reso protagonista di una tale sceneggiata che, se davvero i tifosi della Roma presenti a San Siro fossero stati animati da premeditazione razzista, sarebbe diventato l’obiettivo ideale di ululati e altri idioti versi gutturali. Che sono idioti, ribadiamo, quale che sia il loro obiettivo. Invece niente, semplici fischi e generici insulti.
Perché allora il diverso trattamento verso Balotelli? Perché fondamentalmente non c’entra il colore della pelle ma il “rapporto” e i pregressi che sin dai tempi in cui vestiva la maglia dell’Inter la tifoseria della Roma ha con questo giocatore, dalla provocazione che portò al calcio di Totti in giù, cioè ancora prima.
Peraltro, non è una questione solo romanista, visto che la detestazione nei confronti di Balotelli ha portato, un paio di stagioni orsono, la curva della Juventus ad esporre lo striscione “Totti uno di noi”, che citiamo tanto per rendere l’idea di quanto il personaggio viziato e provocatore rimanga comunque più impresso del pure straordinario (ma ancora incompiuto) giocatore. Persino i suoi vecchi tifosi del Manchester City, cui pure ha dato una mano a riconquistare uno scudetto che si perdeva ormai nella notte dei tempi, hanno spesso mal tollerato le sue alzate d’ingegno e il suo essere spesso corpo estraneo rispetto a qualsivoglia gruppo o spogliatoio.
La sensazione, dopo quasi tre giorni di condanne perbenistiche, da Blatter fino all’ultimo opinionista locale, è che quel paio di minuti in cui a Milano hanno echeggiato un po’ di “U” sia servito più che altro a dar fuoco alle polveri di chi non aspettava altro per crocifiggere i tifosi della Roma e per veicolare un’immagine di loro che non corrisponde alla realtà ma che da più parti si aveva gran voglia di rispolverare.
Il vero peccato, lo diciamo dopo aver ribadito per l’ennesima volta che ogni ululato che si sente allo stadio si ritorce contro chi lo emette, è stato quello di aver offerto un pretesto ai tanti maestri dell’ovvio e al solito esercito di intellettuali e notabili del nostro paese animati da livore nei confronti della Capitale: come sempre, quando ci sono di mezzo Roma, la Roma, i romani e i romanisti si torna a pescare nel vastissimo campionario di cliché e luoghi comuni che ogni volta vengono lucidati per renderli pronti all’uso del momento.
Non è anche questa una forma di pregiudizio?
Paolo Marcacci