(S. Romita) – La motivazione nel calcio è tutto. Guardavo la partita e pensavo a quanto in questo sport, come in tutti del resto, sia un fattore determinante. Roma – Napoli era inutile a tutti. Ma lo era maggiormente per i napoletani, appagati per aver superato Maradona nel punteggio e dal secondo posto in campionato. Cavani, sempre forte, la sua personale classifica l’aveva già portata a casa. E Mazzarri in panchina si dimenava si, ma senza tanto ardore. Si siederà presto altrove. Anche la Roma si è interrogata nei i primi trentacinque minuti sul perché di questa serata.
Sulle ragioni per cui correre e ragionare maggiormente nella chiusura delle triangolazioni. Poi tutto le è ritornato in mente. Quattro anni di commiati vittoriosi all’Olimpico, due anni di campionati chiusi dietro ai laziali, e bambini a bordo campo ad osservare i padri indossare la più bella maglia del mondo. E tifosi da riconquistare, un Andreazzoli da rispettare e ripagare, e un Totti – De Rossi da non far sempre rimpiangere. Quest’ultima cosa è tuttavia impossibile. Ma rimettere al posto suo la Lazio quello sì. Era alla portata delle cose. Non era poi così complesso no? Tutto ok dunque? Non proprio. Siamo abbastanza felici di aver chiuso in bellezza la serie A, anche se ci eravamo illusi quest’estate di aver riaperto finalmente un ciclo.
Il Barone ci lasciò, poi ritornò e vinse lo scudetto. Credevamo che la storia e l’aneddotica del calcio, metafora della vita, ci regalasse un bis di questo strano destino. Non è stato così. Costruiremo dell’altro. Per il momento godiamoci questa serata che è stata determinante come una mandorla per un assetato. E sogniamo di dissetarci presto. Diciamo, molto presto. Avevamo titolato ieri un po’ spavaldamente “Damoje du’ pizze”. Le volevamo sul piatto. I ragazzi ce l’hanno portate. Li ringraziamo. Ora ordiniamo dieci supplì. Ce li meritiamo. Noi, i giocatori, e tutto il gruppo dirigente alla cui guida siedono gli americani su cui tanti hanno stupidamente ironizzato. Gli striscioni minacciosi da curva non servono.
Serve cattiveria, determinazione, coraggio, e voglia di distruggere sul campo gli avversari. E se anche dovesse uscire, cosa che speriamo non accada, la notizia di un cambio di panchina ormai sicuro, non lasciamoci condizionare. Una finale vinta è una cosa talmente alta e sublime che io, al posto di un allenatore, sarei anche pronto a fare altro. D’altra parte spesso la vita è così. Ingiusta e irriconoscente.