(G. Dotto) – Ci siamo. Smaltiti papi, presidenti, marchi, sproloqui, allenatori veri e presunti, eccoci finalmente, come nei grandi western della classicità, faccia a faccia con il nemico.
Che non è (solo) la Lazio, ma la fottutissima tremarella di scoprire che non sei all’altezza della tua ambizione. La Roma, se Roma sarà, ha bisogno di questa vittoria (…).
Abbiamo letto in questi giorni, tra l’Olimpico e Trigoria, appelli anche agghiaccianti, sverniciati dalla muffa della più cascante retorica bellicistica. Non si tratta di vincere o morire. Il mio appello è un altro. Quando sarete seduti sulla panca, nella pancia dello stadio, e sarà arrivato il momento d’infilarvi la maglia. L’avete fatto mille volte, fatelo stavolta come fosse la prima. (…)
Rallentatelo quel breve buio che vi separa da tutto ciò che eravate fino a pochi istanti prima. Respiratelo l’odore. Immaginate intensamente quanti vorrebbero essere, ora, adesso, al vostro posto, dentro quella maglia. Ragazzi come voi, che sognano di diventarlo o che non potranno più esserlo. Immaginate e moltiplicatevi. Amplificatevi. (…)
Domani sapremo. Sapremo anche chi avrà avuto ragione. Se l’approccio più morbido della sponda giallorossa o quello più “feroce” dello sbirro latinorum, che ha segregato i suoi e forse anche imbelvito o, chissà, annichilito in un lungo ritiro lontano da Roma, tra le potenti esalazioni degli effluvi norcini. (…)
Totti e De Rossi, è la vostra partita. Lamela e compagni cercheranno di capire da voi cosa vuol dire. Vincendo, aiuterete voi stessi e i vostri tifosi a diventare migliori, a tornare quelli che erano un tempo, ingenue percussioni del cuore e non un branco di pettegoli e rancorosi mosconi che hanno scambiato il mondo per una discarica. Vincere domani non è tutto, ma è quanto basta. Fate in modo che la gente romanista non sia infelice domani sera. Non se lo merita. Sono stati due anni penosi e l’infelicità è indecente quando dura troppo a lungo. Soprattutto, se è l’infelicità di chi ti ama.
Fonte: Corriere dello Sport