(A.Grandesso) – Il presidente e l’emergente. La Roma è al bivio. Scegliere il posato Laurent Blanc, con il palmares carico di gloria, soprattutto da calciatore e un patrimonio tattico italiano in valigia, o lasciarsi sedurre da Rudi Garcia, origini spagnole che traduce poi in campo, mandandoci squadre votate alla creatività e al gioco offensivo.
AUREA — Due profili distinti per una Roma in cerca di identità. Con Blanc, i giallorossi, si affiderebbero a una guida carismatica. In Francia lo chiamano “Le President”. Soprannome guadagnato sul campo, con la sua postura elegante da ex centrale di Napoli e Inter, ma anche Barcellona e Manchester United. Ex leader della nazionale campione di tutto tra 1998 e 2000. Quella stessa Francia che da c.t. ha rimesso in piedi dopo la devastante gestione Domenech. Facendo valere, almeno inizialmente, l’aurea di vincente e un curriculum da tecnico breve ma intenso, cominciato nel 2007 a Bordeaux, portato allo scudetto prima di approdare ai quarti di finale di Champions League, abbandonato per salire poi di grado in Bleu, predicando un gioco rapido con palla a terra verso le linee nemiche, ma di rigore difensivo italiano, gestito con spirito manageriale all’inglese.
RIBELLI — Questo è Blanc, 47 anni, che ha in Lippi e Ferguson i suoi maestri, che poi ha sbattuto la porta della nazionale a fine Europeo 2012, dopo l’eliminazione ai quarti per mano della Spagna (2-0). Comunque un obiettivo minimo che non è bastato a garantirgli il posto, indebolito anche dallo scandalo delle quote etniche, dove Blanc fu accusato, a torto, di promuovere una formazione discriminante nei confronti dei ragazzini di colore. A cui si è aggiunta la polemica sulla gestione dello spogliatoio di ribelli come Nasri, Menez, Mvila, andato fuori giri durante l’Europeo.
FIGLIE — Garcia, 49 anni, nipote di antifranchisti sfuggiti alla dittatura, i suoi giocatori invece li tratta come le sue figlie: “Con loro non sono né troppo docile né troppo severo. Educo come alleno: discuto, correggo, offro riferimenti. Non dirigo, accompagno. E le mie figlie si comportano con intelligenza, da loro imparo molto, come con i miei giocatori che mi fanno progredire”. Una ricetta magica che ha permesso al Lilla di vincere il campionato due anni dopo il Bordeaux (2011), arricchito dalla coppa di Francia. Apice di un ciclo quadriennale ormai esaurito. E mostrando un calcio gradevole, votato al 4-3-3, esaltato da una generazione di talenti che ha portato in prima fila, da Hazard a Debuchy, passando per Cabaye, emigrati in Premier. L’ultima stagione si è chiusa con un amaro sesto posto, fuori da tutto, pagando un girone d’andata di assestamento dopo l’addio di Hazard. Ma quello di ritorno il Lilla lo ha giocato da protagonista, raccogliendo 36 punti (come il St Etienne) e facendo peggio solo dell’innarrivabile Psg.