(M. Evangelisti) – Facevo gli anni. Non dico quanti perché non interessa a nessuno e seppure interessasse sarebbe facile scoprirlo. Erano comunque abbastanza da costringermi a riflettere che un giorno così forse non lo avrei più vissuto. Ci pensavo io e a maggior ragione ci pensava mio padre. Così decidemmo di inventarci qualcosa di speciale. Forse di unico. Andare allo stadio insieme. Io compivo gli anni di sicuro, che la Roma compisse il terzo scudetto non era certo per niente. Non osavamo crederci.
Non credo di avere mai visto un’altra partita della Roma dal vivo insieme con mio padre. Né prima né dopo. (…)Ma quel giorno era tutto diverso. Io adulto da tempo, mia moglie al mare, mia madre tranquilla a casa. Io in ferie, mio padre in pensione. Eravamo liberi come girini e altrettanto eccitati. All’epoca recarsi a una partita era ancora una scelta istintiva, non l’odissea tra tessere fedeltà e moduli da riempire di oggi. Andiamo con il tuo scooter. Fu lui a proporlo. Non metteva la schiena su un ciclomotore da decenni e aveva terrore anche delle biciclette. Era presto, un mezzogiorno di tarda primavera. (…)
Arrivammo veloci, aspettammo l’inizio della partita tanto di quel tempo che la libertà divenne depressione. Non fatemi questo, immaginai di dire ai giocatori, a Totti e Batistuta, a Cafu e a Samuel, non toglietemi questo. Mio padre guardava fisso le pozzanghere di sole in campo. Davanti a noi la finestra di un palazzo lontano, abbastanza alta da mutare la luce del pomeriggio in un laser accecante. Da che ricordi, il fastidio di quel riflesso, il piacere della Roma vincente e la sofferenza delle sconfitte sono un’unica impressione.
Poi cominciò. Il Parma bianco e oro, noi oro e rossi e se non è oro pazienza, lo diventerà. (…) Sappiamo che in un modo o nell’altro vincerà. Finché Totti non aggancia la palla e la fa diventare ovale sbattendola oltre Buffon. L’urlo dello stadio è un muro solido. Io e mio padre ci abbracciamo, soli al mondo.
Non c’è altro al di là di quello che tutti sappiamo. (…) Riportai mio padre a casa sua, lungo strade invase di tifosi e di turisti che non capivano ma sorridevano ugualmente. Poi raggiunsi mia moglie al mare. Festeggiammo in un ristorante il mio compleanno e non solo. Mio padre se n’è andato due anni fa, soffocato da un cancro mentre guardava in Tv Napoli-Udinese. Di tutto ciò che mi ha lasciato due cose non voglio mai smarrire. Un distintivo d’oro della Roma e la sensazione di quell’abbraccio su una tribuna che tremava sotto il peso di troppa gioia. Forse è il momento in cui siamo stati più vicini a dirci davvero quanto ci volessimo bene.