(A. Angeloni) – «Sono contento dell’arrivo di Gervinho, come lo sono stato per Strootman, De Sanctis, Benatia e gli altri. Certo, lui è un attaccante con caratteristiche diverse da quelli che già ci sono: è veloce, attacca la profondità…», parole e speranza, la firma è di Rudi Garcia, che ha gestito il calciatore ai tempi del suo Lille. Lo conosce, per lui mette la mano sul fuoco. Ci fidiamo. Però. C’è un però. Gli africani nella Roma, fin ora, non è che siano andati benissimo. Togliendo Tallo, Benatia e, appunto, Gervinho, che sono attualmente in rosa e su di loro viene coltivata ogni meravigliosa speranza, da queste parti sono passati nove calciatori del continente nero, senza lasciare traccia. Il primo della lista, Wome, o Wum come lo chiamava il presidente Franco Sensi. Un anno in giallorosso, un assist in dote: primo gol di Delvecchio nel mitologico derby finito 3-3. Poi, basta. Zeman non lo vedeva, Capello ne ha nemmeno voluto sentir parlare. Se n’è andato così, senza rancore. Subito dopo è arrivato Lassissi, ivoriano. Ragazzo simpatico e sfortunato. Carattere irrequieto: uno che aveva preso di petto (e ci vuole coraggio) Spalletti ai tempi della Samp, tanto per capire il tipo. Nella Roma arriva come plusvalenza (da Parma, via Firenze), era a disposizione di Capello, ma si è completamente rotto prima di cominciare la stagione: amichevole all’Olimpico contro il Boca Junior, in campo al posto di Zebina, passano otto minuti e tale Barijho decide di commettere un fallo assassino. Lassissi in lacrime, barella, frattura scomposta di tibia e perone. L’intervento immediato ha dato grande speranza, ma di fatto il calciatore è sparito dal grande calcio. È rimasto sotto contratto con la Roma per tre stagioni, vissute in tribunale per aver vissuto senza stipendio e ai margini della rosa. Poi è il turno di due ragazzi cresciuti nel settore giovanile Ajide e Wahab, che Capello ha fatto esordire. Il primo ha avuto problemi al cuore (risolti) ed è andato in giro tra Venezia, Andria, Bellinzona e Locarno, il secondo si è disperso tra Terni, Teramo e, pure lui, Bellinzona.
MEGLIO DI IBRA
La Roma si aggrappa a Mido, ultimo giorno di mercato. Mido, egiziano, quello che nell’Ajax era considerato migliore di Ibrahimovic. Si è presentato nella capitale con una decina di chili in più. Dodici presenze e zero gol. Altro che Ibra. Daniele Pradè, con un capolavoro, è riuscito a piazzarlo al Tottenham nell’estate del 2005 incassando pure 6,75 milioni di euro. Benedetti. E siamo al 2004, estate in cui la Roma non poteva operare sul mercato (per la questione Mexes) e, grazie all’aiuto di qualche grande vecchio del calcio, arrivano a Trigoria Kuffour e Nonda, ghanese il primo, congolese (naturalizzato francese) l’altro. Due nomi. Anche con una storia dietro. Soprattutto Kuffour, inizialmente aveva stregato tutti. Tre partite ed era diventato l’erede di Aldair. Sì, proprio lui. A gennaio litiga di brutto con Spalletti, parte per la Coppa d’Africa, torna e non gioca praticamente più. Numeri alla mano, è l’africano che nella Roma ne ha totalizzato più presenze fin ora, e se ne va a Livorno, per poi sparire nel nulla. Dopo essere passato per l’Ajax, finisce la carriera sotto casa, all’Asante Kotoko. Nonda invece non stava bene, il ginocchio, infortunatosi gravemente in Francia, continuava a dargli fastidio. Nonostante tutto, qualcosa ha portato a casa, pur senza lasciare tracce indelebili. Con i due è arrivato il marocchino Kharja. Era giovane, molto tecnico, poco preso in considerazione da Spalletti. A distanza di anni si ricorda quel gol di testa che regalò il pareggio alla Roma sul campo della Juventus. Lui, almeno, qualche campionato dignitoso in serie A lo ha disputato. E per poco, con un gol realizzato contro l’Inter quando vestiva la maglia del Siena, non faceva vincere uno scudetto alla Roma. Infine c’è Barusso. Primo giorno di ritiro a Trigoria. Arriva De Rossi. «Ciao Daniele». De Rossi lo guarda interdetto e dice: «Ah ciao, lì per lì ti avevo scambiato per Nonda». Bene, no?