(F.S.Intorcia/M.Pinci) – Bisogna saper vendere. Ci sono oltre cento giocatori indesiderati nelle rose di A e tre settimane per cederli. Le liste di proscrizione, assai variegate, includono campioni ingialliti, gingilli dal costo insostenibile, teste calde, promesse non mantenute, equivoci tattici sgraditi al mister, extracomunitari che devono liberare posti, diamanti da sacrificare per tenere i conti in ordine. Tutti in un limbo: non rientrano più nei piani e non se ne vogliono, o non possono, andare. Pesano sui bilanci con circa 115 milioni di stipendi lordi annuali, fra il 13 e il 14% dell’intero monte ingaggi dell’ultimo campionato. Frenano, in qualche modo, il potere d’acquisto dei direttori sportivi, bravi a fare la spesa e un po’ meno a svuotare la dispensa. Giocatori impagabili e incedibili: i club non vorrebbero pagarli e non riescono a cederli. Sono tanti, costano tanto.
Guida il gruppo Borriello, di rientro dal Genoa, mal sopportato a Trigoria per quel contratto (5,4 milioni lordi), firmato con un’altra proprietà. Complicato disfarsene, esattamente come dire addio a Osvaldo, in saldo nonostante sia tornato in Nazionale con Prandelli: guadagna 4,75 milioni lordi, respinge ogni altra proposta. Difficoltà analoghe a Torino, con Matri e Quagliarella, quasi 8 milioni al lordo in due, avviati molto lentamente verso Napoli e Sunderland. Ma la Juve ha anche Martinez, stipendio da 2 milioni lordi, e Ziegler, poco meno: da due anni vanno in prestito. La Lazio ha dieci elementi in eccesso, come Matuzalem e Sculli. Il primo già si allena con il Genoa (con cui manca però l’accordo), l’altro – su cui pende l’ombra delle indagini di Cremona – con 1,8 milioni di stipendio lordo fatica a trovare collocazione. Chivu (2,1 milioni netti) negozia la risoluzione con l’Inter e medita il ritiro, Gargano e Traorè sono ai margini nel Napoli e nel Milan, ma vincolati da contratti da 2 milioni lordi.
Il Toro prova a cedere Gazzi dopo la squalifica per il calcio scommesse, la Fiorentina corrisponde 2 milioni lordi all’indesiderato Olivera, il Catania cerca sostituzioni per liberarsi del milione e mezzo di Maxi Lopez, l’Atalanta ne versa 1,25 (secondo stipendio della rosa) all’inutilizzato Marilungo, la Samp uno a Maresca. Una volta le cessioni dei big erano rare e scatenavano ribellioni di piazza. Adesso, è maturata anche la coscienza dei tifosi, consapevoli che il mercato in uscita può essere il preludio a grandi successi. Il Napoli si è privato del capocannoniere del campionato, Cavani, ma i 64 milioni e mezzo in entrata hanno solleticato la fantasia dei suoi (ex) sostenitori più dell’entusiasmo, in verità molto contenuto, sollevato a Parigi dal suo arrivo. Dalle cessioni possono nascere squadroni vincenti: la partenza di Zidane consentì alla Juve di prendere Buffon, Thuram e Nedved, quella di Ibrahimovic fu la molla che lanciò l’Inter di Mourinho, con Eto’o, alla conquista del Triplete. Ci vuole talento, però, anche per i “colpi in uscita”, locuzione brevettata da Rosella Sensi per la cessione di Aquilani al Liverpool.
Non è un caso che in molti club vengano assoldati operatori di mercato con un solo compito: sfoltire. La mobilità in A è cresciuta negli ultimi tempi. Nelle ultime quattro stagioni, il numero di cessioni è lievitato: 659 nel 2009/10, 700 nel 2010/11, 804 nel 2011/12, 910 nel 2012/13 (erano 363 dieci anni fa). E quest’estate sono già 701. Eppure il mercato in uscita è un labirinto di spine e lacrime. E nei bilanci è ormai frequente, nel capitolo relativo alle spese per il personale, la voce “incentivi all’esodo”, come per gli impiegati prossimi alla pensione. Un contributo che consente di superare l’impasse di un contratto impagabile per il nuovo club. Nel passaggio di Borriello alla Juventus, per esempio, la Roma inserì un incentivo di 275mila euro lordi. Formula che garantisce comunque benefici fiscali e contributivi alla società di partenza. Si fa presto a dire: vendesi. Il mercato in uscita soffre anche delle riforme nei campionati minori. Il tetto salariale e il blocco numerico delle rose in B ha chiuso il principale canale di sbocco del nostro campionato. La Lega Pro ha visto fallire molti club che non sono stati rimpiazzati: c’erano 90 società, ora sono 69, diventeranno 60 fra un anno, con l’abolizione della vecchia C2 e la nascita di una divisione unica in tre gironi.
L’effetto drastico è una riduzione del 22% dei posti di lavoro da professionista in Italia. E per i calciatori a fine carriera o semplicemente meno bravi, è difficile riciclarsi in una serie inferiore. Fin qui, se consideriamo solo le cessioni definitive già concluse, il 24,8% ha trovato un altro club di A e solo il 16,2% è sceso in B, percentuale pressoché identica a quella di chi ha trovato lavoro in C (16,6%). Cresce il numero di chi va all’estero (19,7%), e non si tratta solo dell’Inghilterra di Giaccherini o della Parigi di Cavani. I meno bravi e famosi accettano mete sconosciute, non proprio paradisi del calcio: Slovenia, Malta, Albania, Grecia. Non possono permettersi capricci da Incedibili.