(G. Dotto) Si ricomincia e non sappiamo se abbiamo voglia di ricominciare. C’è una sottile paura, un parassita gigante che alloggia nelle teste dei romanisti e le rende incapaci di quell’elementare godimento che è l’inizio di una nuova stagione. Si va a Livorno con il freno a mano tirato e le farfalle nello stomaco. Paura delle ombre, proprie e altrui. Schiattarella o Belingheri, chi sarà il prossimo carnefice?
(…)Siamo di fronte a un caso di schizofrenia calcistica o a una maestosamente cinica applicazione delle leggi di business applicate al calcio? O, ancora, una visione talmente geniale da imporre il silenzio di chi la pratica e la fede di chi la subisce? Per mille motivi ci conviene credere a quest’ultima ipotesi.
Intanto, aspettando di capire, le domande canoniche di qualunque crisi esistenziale suonano più che mai sinistre da Trigoria e lungo tutto il raccordo anulare: chi siamo e dove andiamo? (…) Se è vero, e io penso che sia vero, che Garcia è della stessa stoffa di Mourinho, un segnale anche piccolo arriverà già domani. Parlo di atteggiamento, chiaro, non di gioco. (…) La Roma è oggi una delle sfide più eccitanti che il calcio possa offrire a un uomo che voglia piazzare nella propria biografia una storia smagliante.
Attraverso Rudi Garcia, questa Roma ancora precaria, forse raffazzonata, piena di se e di ma, dovrà giocare come fosse una finale di Champions League. Senza attenuanti. Il risultato conta fino a un certo punto, conta la cesura netta con il passato, con quello stramaledetto e sopravvalutato 26 maggio. Conta cambiare brutalmente pagina e dire fine a una convalescenza che è durata troppo a lungo.