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IL ROMANISTA Goool. In principio era il mare

De Rossi

(T.Cagnucci) In principio era il mare. «È come un simbolo che Daniele ha fatto il primo gol». Probabilmente Rudi Garcia voleva dire che «è come un segno» piuttosto di un simbolo, uno scambio di nomi, un lapsus sintattico, una saggezza inconscia che dà perfettamente il senso. Nell’estate dei simboli feriti il gol lo ha fatto il simbolo più ferito (e bello) di tutti, quello sfregiato dalle calunnie, messo da troppi nel cantuccio, o già in disparte speranzosi addirittura di vederlo cadere del tutto, rotolare lontano da un’altra parte. Ha segnato Daniele De Rossi, com’era in principio ed ora è sempre. Ha segnato il day after della Roma perché questo primo giorno doveva essere per forza il giorno dopo il 26 maggio. E invece alla fine del primo tempo (anche se non avevi giocato male, anche se eri stato pulito e avevi dato l’impressione più che in passato di esserci) il paesaggio era atomico, con un attaccante che non giocava per noi da due anni e pure oggi si prendeva il bonus delle presenze.

Stranezzeed eri buono a definirle così. Con tutte le maledizioni che ogni romanista conosce intimamente (come un simbolo o come un segno, fate voi secondo il vocabolo e il vocabolario d’anima di Garcia) che si facevano avanti: quella della L come Liverpool, come Lecce, come lazio, come Livorno, come Lamela e via così senza riuscire a pronunciare nemmeno una lettera in più, interdetti da questo momentaneo ma terribile zero a zero lungo tre mesi. Il giorno dopo era ancora quel giorno. Poi è arrivato lui. Il mare. Perché in principio era il mare veramente.

Daniele De Rossi ha segnato un nuovo inizio. Non è un’illusione, ma una specie di ripetizione inaugurale, un loop magico, come le onde che ritornano, qualcosa di letterale. Su questo terreno aveva fatto il suo vero e proprio esordio, quando manina nella mano del padre (che giocava con la maglia amaranto e festeggiava una promozione) fece tutto biondo il suo primissimo ingresso su un campo di calcio. De Rossi, come un simbolo o come un segno, aveva segnato al Livorno il 9 settembre del 2006: era una prima giornata di campionato, era la sua prima partita da campione del mondo, una partita poi vinta 2-0, esattamente come la Roma – contro il Livorno – vinse il 25 settembre 1927 la sua prima partita di tutta la storia in campionato. E qui, su questo campo dove inizi e rinizi, vincemmo nell’ultima trasferta del nostro primo scudetto: 2-0 a Livorno.

Prendetele come un simbolo o come un segno fate voi. Magari sono le onde del mare. Quelle che si sono mosse dalla panchina e che sono state rotte dall’urlo di tutta la Roma per esultare a quel gol fatto da lontano perché viene da lontano. «Sembrava che avessimo segnato in 25» ha detto Alessandro Florenzi (uno da baciarsi in fronte) con un’altra specie di lapsus inconscio, una premura persino matematica che non prevede il 26, perché oggi doveva essere il giorno dopo quel giorno. Un nuovo inizio. Magari uno lo riempie di troppi significati. Perché ti potrebbero dire che il Livorno arriva ultimo e tante altre cose sacrosante; potrebbero pure dirti che la partita non l’hanno decisa i simboli feriti, ma che è stata figlia di un caso, di una distrazione, da una sostituzione: quella di Gervinho. Uno nato il 27 maggio.

 

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