(A.Serafini) Chi ben comincia è a metà dell’opera. Facile da pensare, sicuramente più complicato da mettere in atto nella testa e nelle intenzioni di Rudi Garcia, riconosciuto già come primo valore aggiunto della neonata terza Roma americana.
La costruzione della squadra ha infatti riconosciuto il merito del tecnico francese, arrivato sulle macerie dei suoi recenti predecessori, ma fermamente convinto di poter affacciarsi nel mercato italiano senza perdere le idee e le modalità di lavoro acquisite e sperimentate in patria. Anche perché gli ostacoli da quel giorno della firma a Boston ce ne sono stati, soprattutto quando c’è stato da scontrarsi con la dura realtà delle esigenze economiche del club, che sicuramente gli hanno remato contro.
Il rapporto con Walter Sabatini ha fatto il resto: fortemente voluto e desiderato da tempo dal ds, l’intesa tra i due è scoccata in un lampo. Il tempo di non aver bisogno neanche più di un interprete per comunicare, che la strada iniziale sembrava spianata. I momenti di tensione non sono mancati, soprattutto quando stava diventando sempre più concreta la cessione di Pjanic, su cui Garcia si era fortemente opposto. Poche colpe da parte di Sabatini, che di certo si è trovato ad eseguire dei compiti ben precisi per non trovarsi nuovamente con i conti pesantemente in rosso. Meglio quindi essere costretti a privarsi del figlioccio Lamela, pur di non andare incontro all’ira e alla delusione del proprio tecnico.
Il binomio di fallimenti registrati sotto la guida di Luis Enrique e Zeman sembrano distanti anni luce dall’inizio confortante e deciso del transalpino. Sei punti in due partite (anche se contro le neopromosse Livorno e Verona) e primi lampi di luce che da tempo non si vedevano più. Un punto di partenza sicuramente confortante, ma non ancora in grado di infondere tranquillità e piena fiducia alla piazza. Pro e contro si mischiano su quello che è stato fatto e su quello che sarà, anche se al momento è impossibile non cominciare dalle cose che cominciano a funzionare. A partire dalla ritrovata unità del gruppo.
Lo spogliatoio è sacro e Garcia lo considera come una seconda casa. Coltivare i rapporti con in propri ragazzi è fondamentale, sia che davanti ci sia Totti o un ragazzo della Primavera. Non lo sentirete mai parlare male del gruppo durante una conferenza stampa o un’intervista, perché la squadra (in trasferta pranzi e cene sono blindate, può partecipare solo lo staff tecnico) è intoccabile. Ma senza tralasciare il pugno duro. Garcia ha stilato delle regole basi, su cui vige l’intransigenza assoluta: basta anche un minuto di ritardo ad ogni singolo appuntamento per prendere la multa decisa dal regolamento interno.
Gli aspetti maniacali del tecnico (controllare l’altezza dell’erba dei campi, migliorare l’illuminazione della palestra, cambiare la disposizione della sala stampa di Trigoria) sono elementi che non cozzano con il rapporto personale con i giocatori. L’abbraccio di De Rossi e i sorrisi a fine gara di Totti confermano la tesi. Di sicuro Garcia ha avuto la possibilità di lavorare con una rosa puntellata da giocatori d’esperienza, Maicon e De Sanctis su tutti, pronti ad aiutare il mister in caso di interventi «diretti» nello spogliatoio. Una consapevolezza che a tratti si è già iniziata a intravedere in campo: più sicurezza nei momenti cruciali della gara e conseguente qualità nel gestire il risultato.
Tutto quasi perfetto, se non fosse che il salto di qualità per insediare il dominio juventino è ancora lontano almeno un gradino. L’aspetto tecnico non può prescindere da quello economico e nonostante siano arrivati innesti di livello (Benatia, Strootman, Ljajic), la competitività sarebbe stata comunque di gran lunga superiore senza gli addii forzati di Osvaldo, Lamela e Marquinhos. La linea giovani sbandierata dall’avvento della nuova proprietà si è dovuta arrendere di fronte ad un’esigenza di bilancio incontrovertibile. La delusione per non aver raggiunto l’obiettivo attaccante a poche ore dalla chiusura della finestra di mercato rimane uno dei tanti passi incompiuti. Così come dover affrontare il reintegro di chi è rimasto nella Capitale in cerca di stimoli perduti come Borriello (che ieri ha chiesto a Sabatini di prolungare il contratto spalmando l’ingaggio), Julio Sergio, Taddei, Burdisso. L’ennesima prova da affrontare sulla strada della «promessa» Garcia.