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CORRIERE DELLA SERA Osvaldo: “A Roma non potevo più stare, lì il calcio è malato”

Osvaldo in partenza

(A. Bocci) – «A Roma non potevo più stare». Osvaldo apparentemente è sereno e rilassato. Ma dentro cova ancora la rabbia per quello che è accaduto nella capitale, un divorzio maturato negli ultimi giorni di mercato tra tensioni e minacce. «La società mi ha fatto capire che dovevo andare via. E come sarei potuto rimanere dopo quelle scritte sul muro di casa? Come avrei potuto farlo dopo tanta cattiveria senza peraltro aver fatto niente per meritarla? Certe situazioni non sono normali: purtroppo in Italia viene fatto poco per evitarle. La verità è che siamo indietro. Per fortuna chi mi ha contestato è una minoranza. I veri tifosi sono sempre stati dalla mia parte. Ma a Roma e non solo a Roma non si vive il calcio nella maniera giusta».

Lo sfogo, dopo l’allenamento, dura cinque minuti. Osvaldo ci tiene a precisare che la scelta definitiva è stata sua e che al Southampton va tutto a meraviglia: «Non sono un esiliato. Volevo fare un’esperienza all’estero e in Inghilterra mi trovo benissimo. L’impatto è stato buono, sia con la società, che con i tifosi. Però ho bisogno di tempo per adattarmi».

È ancora a digiuno di gol, ma domani sera Prandelli lo farà partire titolare a fianco di Balotelli, la coppia che il c.t., in attesa di verificare i progressi di Pepito Rossi, sogna titolare al Mondiale in Brasile. «Ringrazio l’allenatore per la fiducia. Qui si sta sempre bene e sono contento di aver ritrovato i miei compagni. Con Mario mi trovo a meraviglia: sia in campo, sia fuori».

Inevitabile tornare sulla fuga negli spogliatoi dopo la finale della Coppa Italia, evitando la premiazione. Un gesto antisportivo che ha costretto Prandelli a far scattare il codice etico e la conseguente esclusione dalla Confederations Cup. «Ma non sono pentito. Ero arrabbiatissimo e volevo spaccare il mondo. Quando sono sceso negli spogliatoi non mi ero reso conto di ciò che avevo combinato. L’ho capito solo quando sono rientrati i miei compagni. Ma ormai era troppo tardi…».

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