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IL MESSAGGERO Dall’utopia al sogno, è il Sabatini atto decisivo

Sabatini

 

(A. Angeloni) – Passano i presidenti, da Cappelli a Pallotta con l’intermezzo DiBenedetto, passano i direttori generali, da Baldini a Baldissoni, passano gli allenatori, tre in tre anni, Luis Enrique, Zeman e ora Garcia, non passano i direttori sportivi. Il comune denominatore di questo trienno si chiama Walter Sabatini (insieme con Fenucci, che si occupa di conti). Il ds di ieri è il ds di oggi, il più criticato-insultato dell’estate 2013, quella del post derby, cha ha squarciato la storia della Roma in “avanti 26 maggio” e ”dopo 26 maggio”. Walter c’è, non si è dimesso, non ha mollato. Forse ci ha solo pensato. È andato avanti a testa bassa, cambiando programmi e soprattutto, questa volta, in rigoroso silenzio, che verrà interrotto venerdì.

DAI SILENZI AI PERCHÉ – In questi mesi ha chiuso i rapporti con (quasi) tutti, ha scelto un’altra strada. È stato costretto (forse neanche obtorto collo) a virare dai primi intendimenti: si è passati dall’utopia alla concretezza o semplicemente e al più realistico e terreno sogno. Da José Angel a Maicon, tanto per fare un esempio. Venerdì Sabatini spiegherà, magari accuserà, chiarirà (anche quella famosa telefonata “rubata” con Fenucci). Vedremo: ha tante cose da dire, da rinfacciare e perché no? da farsi rinfacciare. Farà un punto della situazione pure sul suo futuro, sulla sua missione, anzi sulla mission, per americanizzare un po’ il tutto. Di sicuro ha addosso la fiducia di Pallotta, che lo considera un suo uomo. Sabatini in questi anni ha lavorato, ha sbagliato, ha fatto tutto con lo scopo di far crescere la Roma. Si è trovato a lavorare con allenatori che forse non facevano parte della sua sfera, quest’anno ha scelto lui, Garcia, e questo è già un solido punto di partenza. Ha portato avanti un mercato difficile, fatto di restrizioni, di rinunce. Pure dolorose. Si è preso dei rischi, ha costruito una squadra logica, dove i rapporti sono meno «cancerogeni» (citazione sabatiniana) e i soldi sono aumentati. E per adesso si gode qualche consenso in più. Ha guardato poco al futuro, perché questa è una stagione che non può essere fallita. Per tutti e per lui. O va o finisce tutto. La gente adesso sembra soddisfatta e lui, sfatto dall’estate faticosa e vissuta in silenzio tra cento viaggi e migliaia di sigarette, ci dirà cosa si aspetta da questa squadra e perché ha deciso di costruirla così. Invertendo la rotta. Che non è detto sia sbagliata.

GLI ERRORI PASSATI – Nei primi due anni di gestione statunitense e sabatiniana, il mercato è stato molto contraddittorio. Sono arrivati 24/25 giocatori e solo 9 sono ancora nella Roma. Nel 2011 al seguito di Luis Enrique si contano: Borini, Bojan, Gago, Heinze, Josè Angel, Kjaer, Lamela, Pjanic, Osvaldo e Stekelenburg, più Marquinho e Nico Lopez. Nell’estate passata, con Zeman (Florenzi va considerato un ritorno): Balzaretti, Bradley, Castan, Destro, Dodò, Goicoechea, Lucca, Marquinhos, Piris, Tachtsidis, Svedskauskas e Torosidis. Una marea di calciatori buttati al vento. Il terzo atto è appena cominciato. In attesa del decollo tecnico e finanziario. E lo stadio in questo può aiutare.

STADIO E FINANZE – A proposito: «È un progetto che, in assenza di un quadro normativo di supporto, è complicato. In questo momento, almeno per quanto ci riguarda non è in agenda e non abbiamo mai fatto alcuna valutazione. È complicato il finanziamento e la sostenibilità per il peso finanziario dell’operazione. Se le Olimpiadi nel 2024 avranno le leggi o aiuteranno il settore, la cosa potrà essere rivista. Il nostro futuro nella Roma? Continueremo a fare ciò che è il meglio per la società. Laddove ci dovessero essere gli interessi a rilevare la nostra quota, o da parte di americani o da parte di terzi graditi agli americani faremo, come al solito, l’interesse di tutti. La Roma è gestita bene» parole e musica di Paolo Fiorentino vice dg di Unicredit.

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