(V. Meta) – Non Mourinho, non il Manchester United e nemmeno l’ex laziale Kozak. Non ce l’ha fatta nessuno a impedire a Daniele De Rossi di scrivere un’altra pagina di storia della Roma: tre Mondiali con la stessa maglia giallorossa di provenienza non li ha mai giocati nessuno, da ieri sera è aritmetico che lo farà lui, che è già il romanista con più presenze in Nazionale e che si appresta a entrare nel ristretto club dei centenari.
Poco importa che l’esperimento tattico di Prandelli che l’aveva portato al centro della difesa a tre sia durato venti minuti appena, travolto dall’inserimento di Libor Kozak che gelava i 35mila dello Juventus Stadium (dove non aveva mai vinto nessuno prima della Primavera di Alberto De Rossi). Con l’amico Pirlo in regia è andata molto meglio e infatti se Balotelli non avesse preso di mira un Cech tutt’altro che impeccabile, probabilmente l’Italia sarebbe riuscita a pareggiare già prima dell’intervallo. Il ct lo immaginava a impostare partendo dalla linea dei difensori, solo che togliendo due uomini dalle fasce ha esposto Chiellini e Bonucci agli inserimenti degli unici giocatori di qualità che la Repubblica Ceca avesse in campo (Jiracek e Rosicky), che alla prima occasione hanno colpito. Cambio in corsa, De Rossi fa qualche passo avanti e la partita cambia.
Curioso che fra Daniele e il Mondiale ci fosse ancora la Repubblica Ceca, avversaria degli azzurri nella prima delle quattro partite che il centrocampista guardò dalla panchina scontando la pesante squalifica inflittagli per il rosso contro gli Stati Uniti nel 2006. Allora De Rossi veniva da giornate durissime («sta come un ragazzo di 22 anni a cui è crollato il mondo addosso», sintentizzò Gigi Riva), anche se fra i compagni non ce n’era uno che non gli fosse rimasto vicino. Anche quel giorno contro la Repubblica Ceca: Materazzi segnò l’1-0 e il primo sguardo fu per la panchina. «Il gol è per Daniele, qui siamo tutti con lui». Da quel gol cominciava un lunghissimo conto alla rovescia che sarebbe finito piantando addosso alla curva francese un’occhiata glaciale prima di mettere all’incrocio un calcio di rigore.
Dal rigore di Balotelli, invece, comincia tutta un’altra storia. De Rossi la scriverà tra poco più di otto mesi, dividendola fra le pagine della Nazionale (gli mancano sette presenze per raggiungere quota cento, potrebbe riuscirci proprio in Brasile, intanto alla prossima raggiunge Facchetti) e quelle della Roma. Un romanista così presente e così importante per l’Italia non c’è mai stato, ma in fondo che questo potesse essere il suo destino si capiva già ascoltando come Marcello Lippi commentava il suo esordio in Nazionale, il 4 settembre di nove anni fa: «È fantastico». Nessun ct lo ha mai tolto di squadra (ci ha provato una volta Donadoni e ha avuto di che pentirsene) e lui per l’Italia ha giocato più o meno ovunque. In Brasile ci andrà con la maglia della Roma sotto a quella azzurra: avrebbe potuto lasciarla, Moyes lo avrebbe accolto a braccia aperte. No grazie, resto qui. Facile. Fantastico.