(D. Galli) – Se la fisiognomica conta qualcosa, e conta, l’espressione di Strootman dopo il gol al Parma, il primo in giallorosso, ma anche prima e anche dopo quel gol, dà il senso del tutto. Della Roma. Quella di Garcia. Kevin è una maschera di pietra, appare duro perché lo è, s’incazza se perde palla, ha il volto squadrato, scolpito, stoppaccioso eppure elegante. Perché questa Roma è quello che schiera, ci sono gli Strootman, i Maicon e i Benatia dietro i milleduecento e passa giorni d’astinenza, del cielo che si tocca con un dito, della classifica più pazza anche per i bookmaker, che adesso quotano la vittoria della Cosa non più a 20. Ma a 15. C’è Strootman, e si vede, e si avverte ma non s’ascolta.
Si legge. «Grande rimonta nel secondo tempo contro il Parma. Sono felice anche per il mio primo gol stagionale». Sono le poche parole affidate ai social network dal gigante olandese, il tulipano d’acciaio, il vento del Nord che spazza via l’avversario. Raccontano che uno così alla Roma non lo vedevano da anni.
Probabilmente non l’hanno mai visto gli uomini e le donne di questa società, ma forse nemmeno quelli della precedente. Kevin Strootman è un mediano d’altri tempi applicato alla società moderna, un melting pot di passato e futuro, un incrocio tra il calcio d’Agostino e le alchimie di Totti che non disdegna il contatto con i tifosi. Però col giusto distacco, col senso della misura, niente dichiarazioni esagerate, niente promesse o illusioni pronte a sgretolarsi ai primi freddi. L’ex esordiente (in Serie A) Strootman gioca come un veterano, è un veterano, è un saggio di 23 anni capitato qui per fortuna, perché Sabatini l’ha strappato al mondo, se no avrebbe fatto la fortuna di qualcun altro. Qualcuno più blasonato, qualcuno più in linea con la statura del campione che avrebbe potuto acquistare, qualcuno che però non ha creduto fino in fondo in lui.
Roma, la Roma, l’ha fatto e l’ha convinto. «Grazie per il tifo», ha digitato ieri notte Kevin. Il tifo. L’anima. Strootman ha firmato conoscendo solo il colore dei soldi e quello della maglia, ma senza conoscere quello che c’era sotto. Quello che c’era dentro. Quello che c’è in quella maglia. Allo sbarco a Fiumicino l’hanno osannato, e dicono che Strootman si sia commosso. Oddio, dicono… L’ha fatto capire lui stesso in un’intervista a un quotidiano di casa sua: «In Olanda non siamo abituati a centinaia di tifosi che ti aspettano all’aeroporto. Davvero, non mi aspettavo un così caldo benvenuto. Posso promettere alla tifoseria che darò il cento per cento per questo club. Anche se io preferisco parlare sul campo». Parevano la solite frasette di rito, quella roba utile a farsi benvolere dal club di turno. Nessuno ha osato dirglielo in faccia.