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LA REPUBBLICA Rinascita De Rossi, felice con la Roma

De Rossi

(E. Sisti) – Mangia bene, corri e dormi, cerca di volerti bene. Ricetta elementare. Ma bisogna volerlo. Daniele De Rossi, tre calciatori in uno, il combattente illuminato che tutti conoscevano, amavano e temevano, è tornato a casa, è tornato se stesso. Mille volte ha pensato di scappare. Mille volte si è detto: «Ma che ci faccio io qui?». Roma era diventata una salamoia, una melma. Gliene dicevano di tutti i colori. Esageravano, si accanivano. Illazioni sulla sua vita privata, scarso impegno, fisico a pezzi, birra a fiumi, accuse al professionista, all’uomo, addirittura al padre (di Gaia). «È solo un peso!».

Non c’è stato un solo tifoso della Roma che non si sia sentito, per un motivo o per un altro, tradito. Un vicolo cieco. Sono stati anni di sonnambulismo. Ad agosto era ancora sul cornicione: «Ero pronto a fare le valigie». Ma ancora una volta non è riuscito a staccarsi. Le valigie sono rimaste sopra l’armadio e le mutande nei cassetti. Deve esserci un perché. Dopo la partita di Livorno, a mercato ancora aperto, proprio in coincidenza col suo ritorno al gol, era arrivata alla Roma l’offerta del Manchester United, un’offerta che nessuno si aspettava più: 18 milioni per il cartellino, per lui uno stipendio in linea con quello attuale, forse appena qualcosa in meno (guadagna sei milioni, è il più pagato della serie A). A quel punto decurtarsi l’ingaggio sarebbe stato un dettaglio. Invece ha stretto un patto con Garcia: «Lui sì che ascolta e guida».

Così De Rossi ha fermato le macchine, indietro tutta: «Resto, qui c’è di nuovo un futuro ». Ma soprattutto c’è un presente. Alimentata da forti motivazioni, la sua testa ha cancellato le gambe molli. «E poi non potevo andarmene dopo un derby perso in quel modo (la finale di Coppa Italia, ndr)». Con una seconda figlia in arrivo (da Sarah Felberbaum), l’aria intorno al giocatore tornato indispensabile sia per Garcia che per Prandelli è di nuovo profumata. Calcio e famiglia non sono più due elementi di contrasto, o due realtà, come è stato in passato, da combattere perché nessuna delle due più funzionava. Tre anni fa, proprio per vincere un derby, Ranieri tolse lui e Totti. Daniele stava già precipitando. L’ultimo ad averlo tonico, decisivo, è stato Spalletti. Poi disagio con tutti, Ranieri, Montella, Luis Enrique, Zeman, Andreazzoli.

Non è cambiato qualcosa da allora: tutto è cambiato. Riportato al centro del progetto e del campo, caricato dalla fiducia di chi lo circonda, De Rossi è ridiventato il principale sostegno tattico, psicologico e fisico della “sua” Roma. Il “timing” con cui interviene, contrasta, chiude e raddoppia è il “timing” con cui Federer colpisce la palla di dritto in controbalzo. Se non ci fosse De Rossi non esisterebbe un Borriello capace di travestirsi da “universale”, di rincorrere forse per la prima volta in vita sua gli avversari per un’ora. Giocava col senso di fallimento addosso, non era più in grado di cambiare passo. Ora è tornato a far cambiare opinione a chi gli sta davanti: «Non passare di qui, non ti conviene». Dei giorni di sofferenza, della sua personale odissea, gli è rimasta solo la barba lunga e forse un po’ di sapore di sale sulla pelle tatuata. Sapete com’è il mare.

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