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IL MESSAGGERO “Io, Candela e i miei 40 anni da artista”

Vincent Candela

(A.Angeloni) L’ultimo francese ad aver vinto uno scudetto a Roma compie oggi quaranta anni. Auguri, Vincent Candela.
Quaranta anni, quanti ne ha buttati via?

«Come uomo nessuno, non ho rimpianti. Come calciatore, forse qualcuno sì».

Tipo?

«Bolton. Lì non tornerei. Una noia…».

Ma ormai a Roma era giunto al capolinea.

«Anche da un bel pezzo. Avevo staccato dall’ultimo anno con Capello. Con l’allenatore, infatti, andavo spesso in contrasto. Aveva capito che non ero più quello di prima e si arrabbiava».

Finita la voglia di giocare?

«Erano subentrate altre situazioni: l’amore, la famiglia, i figli, tutta una serie di interessi e il calcio non era più il corpo della mia vita».

Ogni tanto le succedeva anche in campo. Di staccare.

«Mah. Grosse cavolate non ne facevo».

Insomma… Barcellona, ricorda?

«Ancora? Ho perso un pallone sul calcio d’angolo, poi Kluivert ha segnato in mezzo a quattro difensori. E la colpa era mia, eh… In quella partita ho fatto l’assist a Panucci, questo lo avete dimenticato?».

Ne diciamo un’altra: la reazione spropositata contro Kaladze in Roma-Milan a tre giornate dalla fine della stagione scudetto.

«Stavo difendendo Montella, è stata l’unica espulsione, ho saltato solo Napoli».

Sì, sì, mica volevamo dire che era scarso, anzi.

«Sono un artista».

Non esageriamo.

«Mia figlia mi vede giocare al calcio, mi ritrova in tv, poi mi vede lavorare la terra, fare il vino, l’olio, non capiva mai quale fosse il mio mestiere. Le ho detto, se te lo chiedono, rispondi che papà fa l’artista e siamo a posto».

Ma adesso che fa realmente?

«Vivo in campagna, nella tenuta dell’Angelica ai Castelli. Produco vino, olio, organizzo eventi con mia moglie, mi godo i figli. E seguo la Roma, come sempre».

Attività calcistiche: zero.

«In estate comincerò il corso per allenatori».

Che tecnico sarà?

«Modello Spalletti. Il più bravo in tutto».

Produce vino, vuole fare l’allenatore. Sara il nuovo Liedholm.

«Magari. Comunque della squadra dello scudetto mi pare che tanti si sono cimentati in questa carriera. E anche con buoni risultati».

Eravate un gruppo tosto. Quella Roma a quale vino l’accosta?

«Un bell’Amarone. Denso, corposo, forte forte».

E quella attuale?

«Champagne. Frizzante, senza un gusto di riferimento».

Lo scudetto, possibile anche per questa squadra?

«Direi di sì, c’è tutto mi pare. Dall’allenatore ai giocatori. È una bella Roma».

E lei che vino è?

«Un ottimo Brunello di Montalcino, per il luogo fantastico dove viene prodotto. Adoro la campagna da sempre, ci trovo tanta poesia. Il mio scopo è unire il vino al calcio».

Così tutti diranno che è un ubriacone.

«Se sto appresso a quello che dicono non campo più. Non l’ho mai fatto, non comincio certo ora».

Qualche uscita di testa in passato ce l’ha avuta.

«Ero il primo a festeggiare. A un ragazzo non puoi togliere un brindisi, una serata con gli amici. Che male facevo?».

Nessuno. Torniamo alla poesia: la Francia campione di tutto. Per lei e un bel ricordo o un grande rimpianto per non esserne stato protagonista.

«È una bella storia. Sono legato a quel gruppo, sto realizzando un vino francese per i quindici anni dal mondiale del ’98. Con l’etichetta firmata da tutti quei giocatori».

C’è anche Lizarazu…

«Con lui non sono mai stato amico. Era solo più difensore di me, quindi giocava sempre lui. Come detto, io ero un artista».

Lei è stato il terzino sinistro più forte dei suoi tempi?

«No, c’erano Maldini e Roberto Carlos. Però mi difendevo bene».

E della Roma?

«Penso di sì, magari io e Nela».

Il gol più bello?

«A Bari. Un momento intenso».

La sua squadra ideale.

«Barthez, Cafu, Aldair, Blanc, Candela, Tommasi, Deschamps, Petit, Totti, Batistuta e Zidane».

Il suo peggior allenatore?

«Beretta. A Siena. Il primo giorno si è presentato in campo con la sigaretta in bocca e gli occhiali scuri».

L’avversario più forte?

«Ronaldo, quello vero».

Il più fastidioso?

«Nedved. Antipatico».

Che effetto le fa vedere Totti ancora in campo?

«Giocatore di una intelligenza fuori dal normale, non sono sorpreso».

Ma quante ne avete combinate.

«L’ho svezzato, gli ho fatto conoscere Roma».

Il compagno più divertente?

«Tomic. Ragazzo incredibile».

I talenti che ha visto bruciarsi nel tempo.

«Vagner e Bartelt».

Anche lei stava per essere bruciato: ricorda, stava andando all’Inter.

«Non c’era più futuro con Zeman, poi Capello e il presidente Sensi mi hanno convinto a restare. Altrimenti sarei andato a fare il giardiniere a Villa Pacelli, come disse il presidente. Quello per me è stato un grande complimento».

Un giudizio su Capello.

«Mi aveva messo tra gli irrinunciabili. Per lui ho dato tutto».

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