Dove ha studiato Rudi Garcia? Sempre ammesso che non sia tutto merito dei cinque maghi di Lotito, ovviamente.
Quando ci chiediamo dove il tecnico della Roma abbia appreso ciò che sa non parliamo del campo e della tattica, degli accorgimenti continui per apportare varianti al modulo e quant’altro, anche perché in quel caso è facile ricostruire la filiera formativa di un allenatore che sta facendo parlare di sé e della sua squadra tutta Europa, visti i numeri mirabolanti e la caratura complessiva della Roma.
No, parliamo delle capacità comunicative di un personaggio che, quando si trova di fronte microfoni e telecamere, riesce ad essere convincente alla stessa maniera in cui lo è nel guidare la capolista dalla panchina, il che è tutto dire.
Garcia ama un particolare tipo di “low profile” quando si confronta con i media: esprime cioè concetti suggeriti non dalla falsa – e sempre percepibile – umiltà di tanti tecnici presuntuosi, ma esibisce la consapevolezza dei forti; di coloro che non hanno bisogno di urlare né tantomeno di stupire, perché i fatti, cioè i risultati del campo, parlano per loro.
Proprio in virtù di questa tranquillità, paradossalmente Garcia riesce a stupire gli interlocutori, ad esempio attraverso una serie di similitudini e immagini dal forte impatto simbolico come l’ormai celeberrima chiesa rimessa al centro del villaggio dopo la vittoria nell’ultimo derby.
Altra sua grande capacità è quella rendere merito ai pregi delle squadre avversarie senza il bisogno di impantanarsi nella retorica elementare delle frasi di rito. Del resto, una delle caratteristiche che subito ha evidenziato è stata quella di essere un ottimo osservatore -e ascoltatore – di usi e costumi calcistici e pseudocalcistici della città e del paese in cui si è trovato a lavorare.
Doveva essere un francese a insegnarci che buon senso e competenza sono spesso l’incantesimo più efficace che ci sia? Evidentemente si, ma non ditelo a Lotito. E nemmeno a De Laurentiis.