

È il campionato italiano, bellezza: a volte brutto come una zitella con la menopausa ma sempre complicato come un rebus del Bartezzaghi più ispirato. Succede quindi che un drappello di Dainelli, Rigoni, Sardo e altre creature da sottobosco della Serie A possa sfruttare l’effetto ottico dei riflettori dell’Olimpico per allungare la propria ombra e mostrarsi come un ostacolo più probante di quanto non dica la classifica e di quanto non denunci il monte ingaggi. Sannino è un Von Klausevitz dei poveri – non in spirito – e il vocabolario offre tanti sinonimi per non dire “catenaccio”. La squadra giallorossa si affida a Ljaijc e Marquinho per rifornire Borriello, punto di riferimento di tutti, compagni e soprattutto avversari bisognosi e imbacuccati, lì davanti, dove l’area di rigore sembra troppo piccola o troppo grande, a seconda dell’angolo visuale dal quale si contempla l’assenza di Totti, mai troppo rimpianto rispetto a tutte le occasioni in cui reinventa squadra e partita. Florenzi per Marquinho e Balzaretti per Dodò, in un secondo tempo in cui il cronometro sembra accelerare i giri, come volesse sfuggire al drappello di gufi in libera uscita per la notte delle streghe e degli opinionisti appollaiati, zucche vuote e zucche piene ma quasi tutte antiromaniste. Una cabala nostrana, contro la mitologia d’importazione dei dolcetti e degli scherzetti che tutta Italia caldeggia? Il minuto 23, quello utile per trovare un “bucio”, detto alla romana ma non in senso di fortuna, casomai di spiragli: Florenzi a strappare coi denti un fazzoletto di fascia sinistra, la palla in mezzo come un pipistrello a svolazzare sotto un lampione; il lampione è Borriello: la capoccia si torce e il pertugio da tre punti è il riconoscimento più dolce per le mille sportellate prese spesso in solitudine. Il goal nobilita l’uomo, cioè il centravanti che era rimasto a terra, colpito duro, senza che il Chievo mettesse fuori la palla. Chi insiste e resiste alla fine conquista, direbbe la Sud; chi si comporta da Serie B dimostra invece di prepararsi per tempo alla categoria. Alla fine la capolista si prende per mano da sola e si porta al di là di tutto quello che di domenica in domenica me augurano. Le mani di Morgan, alla fine, strangolano tutti gli spettri. Halloween, nun te temo.