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LA REPUBBLICA Il Torino ferma la corsa record, Garcia perde i primi due punti

Garcia

(E. Sisti) Il giocattolo non si rompe, si sbecca. La Roma interrompe la striscia, non trova l’“undici” agognato forse perché l’undici in campo non era così compatto, e prende anche il secondo gol del suo campionato. Ma il pari è legittimo. Il Torino, ma soprattutto Alessio Cerci (col suo bel primo tempo e la sua rete tonificante) ha meritato di diventare la squadra che ha reso possibile tutto questo. Non è una tragedia, il passo rimane spaventoso e i giallorossi hanno sempre tre punti di vantaggio su Juventus e Napoli. Scomporsi sarebbe un delitto, ma rammaricarsi ci sta. Non può non sorprendere che la fine della “grande anomalia” sia stata prodotta da una crisi fisica e concettuale che si è protratta per troppi minuti, con Benatia ammonito, Burdisso non sempre centrato, Maicon difensivamente inaffidabile e un centrocampo meno dinamico del solito. E poca concretezza in fase offensiva.

Il risultato è stato di offrire al Torino, proprio nel momento in cui i giallorossi avrebbero dovuto soltanto gestire il vantaggio ottenuto nel primo tempo con Strootman, la possibilità di trovarsi in una situazione ideale per agganciare la capolista. Che non fosse una serata propizia viene confermato a metà del secondo tempo, quando la Roma chiede almeno un paio di rigori (forse c’era su Pjanic) e quando Benatia si fa pure male (entra Marquinho, dopo Ljajic per Borriello) costringendo De Rossi a rinculare in difesa. Il serbo tenta in tutti i modi di aprire la difesa torinista, portando palla ovunque ci sia un vago pertugio, ma sono sforzi vani. Il primo tempo aveva già spiegato molto: le ali della Roma sono impolverate, come se sopra vi fossero rimaste tracce di Chievo. Nel primo tempo Garcia aveva rinunciato a Ljajic, forse un errore. La Roma aspetta, il Torino pure. È una partita bloccata da moduli speculari. Non ci sono spazi. Cerci sta carburando. Il primo squillo è un suo assist per Darmian (15’), per venti minuti sembra la partita col Chievo, la squadra ospite che viene all’Olimpico (di Roma) e si schiaccia su se stessa riducendo lo spazio fra centrocampo e difesa a una questione di centimetri. Che la Roma sia frenata, forse non al top della condizione fisica collettiva, lo si capisce chiaramente perché non arriva mai sulle palle perse dagli avversari. Maicon si abbassa e si apre spesso un buco a destra, la Roma è lenta nel giro palla. Eppure, al 28’ l’undicesima vittoria sta quasi per materializzarsi: azione simile a quella contro il Chievo, Balzaretti- Pjanic-Strootman. Roma avanti. Il Torino non cambia atteggiamento.

Ma comincia a scatenarsi Cerci. È lui con punizioni, serpentine e tagli verso il centro, l’unico vero pericolo. Secondo tempo: il Torino ancora non alza il pressing, ma la Roma soffre perché c’è un disagio collettivo a mantenere il possesso della palla. Al 12’ gran tiro al volo di Meggiorini e adeguata risposta di De Sanctis. Ventura e la curva si infuriano perché l’arbitro ferma il gioco con Pjanic a terra: «Come la Juve, voi siete come la Juve», gridano dagli spalti. Ventura chiede a Immobile di buttarsi nella mischia e possibilmente di togliergli le castagne dal fuoco. Cosa che farà Bradley, involontariamente. L’eroe di Udine torna brocco per un secondo: era l’unico che il Torino pressasse con insistenza. Giustamente. L’americano perde un brutto pallone e sbilancia tutta la Roma fino a Trigoria. Benatia perde il contrasto fisico con Meggiorini e Cerci pareggia (18’) andando a fare compagnia a Biabiany. Secondo gol preso dalla Roma in questo campionato, ma molto più fastidioso del primo. La Roma si butta avanti, Ljajic si fa in quattro, ma di vere occasioni non ce ne sono più. Prima o poi doveva succedere.

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