(G. Dotto) – Voglio ricordare. Di quando, solo cinque mesi, il tifoso romanista si sentiva molto cenerentolo e sguattero nella sua zucca, tra pensieri matrigni e fantasie sorellastre. Di quando arrivò il principe dall’occhio azzurro, un principe riservista franco-andaluso venuto dalle miniere. Un occhio vagamente allucinato, è vero, ma capitava a Roma, nel Vietnam calcistico. Non è vero che fosse la terza scelta Rudi Garcia, era la sesta, forse anche la settima, dietro nei sondaggi e nelle aspettative della gente anche a Blanc, Mancini, Bielsa, Capello e il ritorno dello stesso Zeman.
La tragedia è dimenticare. Assecondare questa volgare frenesia del passare sempre oltre, dell’appiccicare subito la nuova figurina nello spazio rimasto vuoto. E invece no, voglio ricordare che questa impresa delle dieci vittorie ha restituito orgoglio e dignità al tifoso più umiliato del pianeta. Lo ha messo in bocca a tutte le lingue del mondo. Voglio ricordare che questa storia s’è interrotta non perché si doveva interrompere, ma perché la bellezza è insostenibile. Nessuno può reggerla troppo a lungo. Fateci caso, c’è sempre qualcuno o qualcosa che s’incarica di sfregiare la bellezza. Il tempo, il caso, un pazzo o un idiota”.
Io non dimentico. No, non dimentico. Me la tengo stretta questa magnifica storia delle dieci vittorie, mi ci faccio un triplo nodo alla cravatta, ora che questa molto imbecille idolatria del futuro ci spinge ogni volta a dimenticare, a passare oltre. Che non bisogna guardarsi indietro. Stronzate. Io sto lì. Non dimentico. Sì, tutto brucia ma io voglio fissare la cenere e ricordare. Voglio sostare ancora tutto il tempo che serve all’omaggio dell’impresa che è stata.