E’ un progetto che, dati alla mano, fa rima con rigetto. La Roma di Firenze ha impressionato per fragilità e nervosismo, confusione e sterile personalità. Cinque mesi di Luis Enrique, nel bene o nel male, non sono bastati per dare una fisionomia ad un gruppo che ricade periodicamente sugli stessi errori. La sconfitta del Franchi è soltanto l’ennesima tappa di una via Crucis a cui sono sottoposti i tifosi in nome di un futuro radioso e costellato di tante buone intenzioni. Per vivere un bel domani, tuttavia, è necessario partire da un solido presente. Da una quotidianità che, oltre a richiedere sacrifici, possa regalare soddisfazioni tangibili. Gioie traducibili in gol, esultanze, magliette zuppe di sudore e, soprattutto, in punti. La Roma di oggi è la “Città del sole” di Campanella dove ogni singolo aspetto della vita è rigidamente regolato. Un’utopia che, concretamente, sfocia nel paradosso. Tre gol subiti, tre espulsioni e tre cambi quantomeno discutibili sono lo spaccato di una partita che avrebbe potuto cambiare le sorti della Magica in questa stagione “transitoria”. E invece no. Per l’ennesima volta, in quasi ottantacinque anni di storia calcistica, il vento non ha spazzato via le nuvole ma unicamente alimentato il rogo. Non una catasta di paglia ma un vero e proprio cumulo di rami e foglie secche. Ora, più che mai, servirebbe coesione e spirito di sacrificio. Testa e cuore. Sostanza anche senza il supporto della forma. Tigna e voglia di fare. Umiltà e devozione. Che si decida di proseguire a studiare lo spagnolo o si opti per qualsiasi altra lingua o dialetto italiano. Che lo si faccia con la “vecchia” guardia o si stabilisca di puntare sui giovani. L’importante, però, è muoversi. Dare una forte scossa per non rischiare di restare impantanati nell’immobilismo che già per troppi anni ha stritolato sogni e speranze di un intero popolo. La pazienza è finita. Esaurita. Stracciata. Dilaniata. Ognuno prenda le proprie responsabilità, dimostri di avere coraggio e, possibilmente, eviti scene di inopportuno isterismo. Il tifoso romanista vive di emozioni e tendenzialmente perdona tutto. Tranne, però, la mancanza di rispetto verso la Maglia. Chi non lo sa, studi. Chi non se lo ricorda, ripassi. Perché la Roma non è il Barcellona. Perché quella casacca, fortunatamente, non sarà mai uguale a quella blaugrana.
A cura di Piergiorgio Bruni