(F.Monti) – A che punto è l’idea di una candidatura italiana per l’Olimpiade del 2024? Il quadro è già delineato, ma sarà più chiaro dopo l’incontro di oggi (alle 17.30) al palazzo H del Foro Italico. È lì che Giovanni Malagò, insieme con i membri Cio, incontrerà i sindaci di Roma (Marino) e Milano (Pisapia), il governatore del Lazio, (Zingaretti) e della Lombardia (Maroni) per fare il punto sul progetto olimpico. In sintesi: Milano si sta defilando in maniera indolore, per scelta condivisa da molti, a cominciare dal sindaco Pisapia, anche perché non ci sono impianti (e prima di iscriversi all’università, bisognerebbe aver frequentato almeno il liceo) e perché la preoccupazione di Maroni è sempre stata soltanto quella di ricollocare le aree dell’Expo 2015; Roma aspetta il momento più opportuno per assumere lo status di applicant city (città desiderosa di ospitare i Giochi).
Nel frattempo il sindaco di Roma, Marino, ha iniziato ad analizzare la questione anche con i responsabili dei Comitati di quartiere e ha notato che l’idea piace, anche considerando la spinta rappresentata dal Giubileo, che si aprirà il 24 dicembre 2024. Il Coni per ora temporeggia (le candidature vanno presentate l’autunno 2015, con votazione finale fissata tra settembre e novembre 2017), anche in attesa della visita del nuovo presidente del Coni, Bach, che sarà a Roma dal 22 novembre. Malagò è stato chiaro: «Stiamo ragionando su tutta la questione; nessuno ci obbliga a candidarci; o facciamo le cose nel modo giusto oppure è meglio rinunciare. Serve la maggiore condivisione possibile, per arrivare un giorno ad una eventuale candidatura. Andiamo avanti a fari spenti».
Non è difficile immaginare che di Olimpiade si parlerà anche nel colloquio riservato che Letta e Malagò avranno prima dell’inizio del Consiglio nazionale. Di Olimpiade in Italia, si è parlato nei giorni scorsi in un convegno economico-istituzionale a Milano, presenti fra gli altri Luca Scolari, chairman strategico di un fondo, organizzatore di numerosi eventi sportivi e sociali, compreso il Giubileo dello Sport 2000 (ha lavorato per i Giochi invernali di Nagano 1998), che sta lavorando ad un progetto «olimpico» e Michael Spence, economista statunitense, premio Nobel nel 2001. Il progetto sta mettendo a fuoco un percorso per arrivare ad una organizzazione low cost o senza costi per la comunità, vale a dire una soluzione «blindata» nei confronti del rischio di sprechi, dispersione di denaro e mala gestio, che spesso ha condizionato le scelte organizzative italiane. In breve, quello che l’allora premier Mario Monti, non firmando la lettera del governo in appoggio alla candidatura di Roma 2020, aveva definito come «sforamenti importanti rispetto alle previsioni».
Scolari ha ribadito la necessità di un decreto inattaccabile e burocraticamente snello, che dia il via ad un tavolo in grado di coinvolgere sia il pubblico sia il privato, togliendo allo Stato l’onere dei costi dello sviluppo e del consolidamento dopo l’evento. Si è parlato di un progetto di crescita delle strutture e delle infrastrutture, che si autofinanzi, a cominciare dagli impianti e dal villaggio olimpico, attraverso una gara internazionale, alla quale potranno partecipare aziende che poi daranno gratuitamente in uso gli impianti per i Giochi. Questo per evitare che si riaffacci il vecchio problema della cattedrali nel deserto, per dire di impianti, con costi così elevati da non poter essere sfruttati a fine evento. In questo quadro, lo Stato si occuperebbe soltanto di eventuali infrastrutture (autostrade, strade, ferrovie). Spence ha definito il progetto «nuovo, semplice e incredibile nella sua praticità» e ha sottolineato che l’Italia «ritornerebbe ad essere benchmark di riferimento».
La possibile sinergia con il Grande Giubileo del 2025 ha fatto sì che questa ipotesi progettuale abbia trovato interesse e adesione anche da parte del Vaticano. Le scadenze sembrano lontane; in realtà il tempo non è molto, anche perché, come ha ricordato il presidente del Coni, Malagò,«non dobbiamo aver paura di organizzare i grandi eventi, ma le cose vanno fatte bene». E per farle bene, ci vuole tempo.