(R.Palombo) Il grido di dolore lo ha lanciato martedì scorso da Campobasso, una di quelle sedi periferiche che sono il pane quotidiano del Coni itinerante di Giovanni Malagò: «Questo Governo ha mostrato di avere attenzione e sensibilità nei confronti dello sport e di questo lo ringrazio molto. Sinceramente però la vicenda della legge sull’impiantistica che è entrata e uscita, e per la quale adesso non si capisce bene quello che succede, mi crea dispiacere. Soprattutto, poiché ci sono state fatte delle promesse precise, vorrei capire come ne veniamo a capo».
Le «promesse precise» non erano state assicurate da persone qualunque. Il presidente del Consiglio Enrico Letta aveva assunto un impegno solenne in occasione del Consiglio Nazionale del Coni di mercoledì 13 novembre, e il vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano aveva fatto altrettanto cinque giorni dopo a Milano presso la Lega di Serie A e subito dopo alla Gazzetta dello Sport. Poi, sapete tutti come è andata: il testo dell’emendamento contenuto nella legge di stabilità, percorso abbreviato per arrivare a dama nel minor tempo possibile, ha visto la luce ed è stato immediatamente impallinato a furor di parlamentari. Ammettiamolo, pur privilegiando i «tempi rapidi» che rappresentano la priorità assoluta della legge sull’impiantistica, meglio conosciuta come legge sugli stadi, quell’emendamento conteneva sette parole di troppo: «insediamenti edilizi», «interventi urbanistici» e «anche non contigui» (agli impianti sportivi).
Materiale sufficiente per dare ai professionisti del «non s’ha da fare» un’arma formidabile. Il ministro dello sport Delrio ha cercato di metterci una pezza, con una riscrittura che francamente non fa una piega, ma l’onda lunga dei disfattisti s’era ormai gonfiata a dismisura e siccome il Pd è uno e trino (e pure quattrino), la legge sugli stadi sembra proprio essersi arenata, iscritta a un percorso alternativo da ddl , il solito disegno di legge che comincia senza mai avere una fine. Come è già avvenuto negli ultimi quattro anni coi due governi che hanno preceduto quello attuale. Ergo, Berlusconi, Monti e Letta jr. pari sono.
E ora?, si chiede un Malagò assai preoccupato e, per quanto possa esserlo un tipo così educato, pure piuttosto incazzato. La legge di stabilità, che continua a conservare un pezzettino dell’emendamento stadi (quello che assicura 45 milioni di euro in tre anni al Credito Sportivo per restaurare l’impiantistica già esistente), approvata al Senato passa alla Camera, ed è lì che potrebbe consumarsi un tentativo di restituire all’emendamento un po’ del suo contenuto originale. Questo almeno è quanto viene fatto filtrare da Palazzo Chigi e dal ministero dello Sport, che ostentano col Coni «tranquillità e speranza». Malagò, stile San Tommaso, vuole vedere per credere e invoca un qualcosa «almeno sulle procedure e sui tempi», senza tuttavia mostrare un briciolo di ottimismo.
E’ una partita che Letta e Alfano e il loro Governo del fare, come a loro piace sentirsi chiamare, devono riuscire a giocare in prima persona. Altrimenti, si fa presto a cambiare denominazione: Governo del faremo. O, peggio, Governo del disfare.