(F. Bovaio) – Il pallone racconta che Roma-Fiorentina non è mai stata una partita banale, di quelle che, alla fine, forse passano pure inosservate, rimanendo quasi nascoste in un angolo della memoria.
Spesso, infatti, ha regalato importanti storie personali o di squadra, finendo con il fare da contenitore a racconti umani dai forti risvolti emozionali.Pensiamo, ad esempio, alla gara dello scorso anno, fatalità giocata proprio nel giorno in cui andrà in scena oggi, l’8 dicembre, che apparve come quello della consacrazione del ritorno di Zeman sulla panchina giallorossa. Un 4-2 ad alto contenuto spettacolare che fece sobbalzare i tifosi giallorossi sulla sedia inducendoli a sognare un avvenire fiero e gioioso che invece, purtroppo, tale non fu. In quella serata di sabato di 365 giorni fa, nella quale andarono a segno in condominio anche Tachtsidis e Castan (a finire sul tabellino dei marcatori fu quest’ultimo, ma il pallone sarebbe entrato anche per il colpo di testa del primo), i giallorossi pensarono che Zeman sarebbe stato davvero il loro profeta. Nessuno poteva immaginare che di lì a poco, dopo le feste di Natale, la stella del boemo avrebbe iniziato il suo breve percorso verso il declino e poi l’oblio. Per questo definiremmo quel Roma- Fiorentina 4-2 come la “gara dell’illusione”, quella più bella della scorsa stagione con Zeman in panchina, ma proprio per questo anche quella più ingannevole di tutte.
Un po’ quello che accadde anche nel Roma- Fiorentina 2-1 del 17 ottobre 1998 ad un giovane giocatore argentino che è passato alla storia del nostro calcio come uno dei più grandi brocchi finiti in maglia giallorossa. Ci riferiamo a Gustavo Bartelt, il piccolo centravanti biondo arrivato dal Lanus di Buenos Aires con la fama di “promessa” e tornato presto in patria con il timbro di “brocco”, perché a Roma non fece vedere nulla di eccezionale, chiudendo la sua parentesi con quindici presenze in campionato e nessun gol. L’unico giorno di gloria che visse dalle nostre parti, però, fu proprio in quel Roma-Fiorentina 2-1 del 17 ottobre 1998, valida per la quinta giornata del campionato 1998-99. I viola arrivarono all’Olimpico da primi in classifica in virtù delle quattro vittorie su quattro conquistate nelle giornate precedenti, mentre i giallorossi scesero in campo senza il portiere titolare Konsel, lo squalificato Aldair e l’infortunato Paulo Sergio. Per di più, ad inizio ripresa, Batistuta portò in vantaggio gli ospiti e poco dopo arrivarono le espulsioni del gigliato Falcone e dei romanisti Di Biagio e Candela. Viola in dieci, Roma in nove e sotto di un gol fino al 90’, quando Batistuta fallì il raddoppio. E’ un attimo che cambia il destino della gara, visto che sul ribaltamento di fronte Bartelt dribblò la difesa viola con quattro finte in area e servì ad Alenitchev l’assist per l’1-1. Al 94’, poi, si vide respingere il tiro da Toldo, che però venne trafitto da Totti, lesto ad approfittare della ribattuta. Incredibile! E tutti, il giorno dopo, gridarono al campione scoperto, Bartelt, che però, poi, campione non fu ed oggi viene ricordato come un bidone.
Campionissimo, invece, è stato Batistuta, l’uomo che aiutò la Roma a vincere lo scudetto del 2001 con i suoi, pesantissimi, venti gol in campionato. Tra questi quello della lacrime e della gioia soffocata alla sua vecchia Fiorentina, battuta 1-0 all’Olimpico proprio in virtù di una rasoiata dai venticinque metri del “Re Leone”, che poi si nascose il viso tra le mani per mascherare il pianto. Un gol bellissimo e probabilmente anche tra i più decisivi nella corsa della Roma di Sensi e Capello verso il titolo, ma troppo pieno di significati ed emozioni anche per uno abituato a segnarne a raffica come Bati-gol. Carichi di rabbia e gioia, cuore che ti esplode dentro e significati profondi furono pure i due gol che un altro grande campione della nostra storia, Bruno Conti, segnò nel 3-1 di Roma-Fiorentina del 21 novembre 1982, in un altro torneo finito con i giallorossi campioni d’Italia. Quel giorno si giocava la decima giornata e Brunetto nostro, reduce dal vittorioso Mondiale di Spagna, non era ancora riuscito a ritrovare la sua solita forma psico-fisica. Lui voleva dare moltissimo alla sua Roma, come aveva sempre fatto, ma proprio non ci riusciva e qualche lingua biforcuta aveva già cominciato a dire che ormai si dedicava solo alla Nazionale. Per questo quella doppietta contro i viola, che seguì il gol di apertura di Pruzzo e il pareggio su rigore di Antognoni, fu per lui una sorta di liberazione, che lo spinse a correre da impazzire sotto la Sud fino ad inginocchiarsi davanti ad essa. “Eccomi, mi avete ritrovato, sono sempre io e vi amo da morire” sembrò dire Bruno alla sua gente con le braccia aperte. E’ il Roma-Fiorentina “dell’amore ritrovato”. L’11 giugno 1989, al Flaminio e non all’Olimpico (che era in fase di ristrutturazione per i Mondiali del ’90), andò invece in scena il Roma-Fiorentina del “pathos”. Quello nel quale i giallorossi di Liedholmdovevano vincere a tutti i costi per riagganciare i viola in classifica e strappare loro la qualificazione in Coppa Uefa. Ma questi ultimi passarono in vantaggio con il povero Borgonovo e i giochi sembrarono chiusi. A riaprirli furono Giannini e Voeller, che segnò in tuffo rischiando la testa e i relativi punti di sutura. Poi lo spareggio di Perugia vanificò l’impresa, deciso come fu a favore dei toscani da Roberto Pruzzo, che tanta storia giallorossa aveva firmato con le sue reti. Una di queste, bellissima, l’aveva segnata proprio all’Olimpico contro i viola il 25 ottobre 1981 su assist acrobatico di tacco di Falçao. Una prodezza che si rivede spesso in televisione nei filmati di quegli anni e che trasforma quella partita nel Roma-Fiorentina del “capolavoro”.