(F. Bovaio) – In questi primi mesi del campionato la Roma di Garcia ha stupito tutti per la sua capacità di imporre agli altri il proprio gioco, la sua personalità e i risultati strepitosi che ha ottenuto. Dodici vittorie, cinque pareggi e nessuna sconfitta che l’avrebbero fatta essere prima in ogni stagione, ma non in questa. Perché ogni volta che la Roma è forte ha la maledetta sfortuna di doversi confrontare con una squadra fortissima.
E, perché no, anche aiutata dalla buona sorte, che talvolta si manifesta con fischi a favore e talaltra con mancati fischi contro. Ma torniamo al nostro discorso, che stavolta vuole essere soprattutto storicotattico, visto che la Roma di Garcia, per il suo modo di giocare, di stare in campo e di affrontare l’avversario, ci ricorda altre squadre giallorosse del passato che, alla fine, sono risultate vincenti.
Pensiamo, ad esempio, alla Roma di Liedholm, che sia alla metà degli Anni Settanta (quando arrivò terza e a quei tempi, per quella Roma, quel terzo posto equivalse ad uno scudetto), che nel ciclo dei primi Anni Ottanta, fece del possesso palla seguito da improvvise verticalizzazioni il suo leitmotiv più ricorrente. Anzi, nel 1974-75 quel modo di giocare venne definito dai critici con un nome specifico, “la ragnatela”, perché la squadra che Liedholm aveva plasmato aveva tanti ottimi giocatori a centrocampo (Cordova, De Sisti, Morini, Negrisolo) che non perdevano mai il pallone facendolo girare dall’uno all’altro, così che l’avversario era costretto a correre a vuoto per prenderlo e finiva con l’essere colpito con il lancio per Prati o per i terzini incursori Peccenini e Rocca. Proprio come fa il ragno con la preda, che viene stordita e colpita. In parte Liedholm ripropose questo gioco anche ad inizio Anni Ottanta, quando lo impreziosì con l’adozione della marcatura a zona. Anche in quella splendida Roma aveva un centrocampo di fini dicitori (Falçao, Prohaska, Conti, Ancelotti e Di Bartolomei, che spostò in difesa per avere un regista in più in campo, seppur arretrato) e anche loro, come i predecessori degli Anni Settanta, intontivano l’avversario con il fraseggio stretto, lo sfiancavano costringendolo a correre appresso al pallone e lo colpivano con accelerazioni improvvise.
Non vi ricorda un po’ quello che fa la Roma di Garcia? Anche questa deve tutte le sue fortune a quel centrocampo meraviglioso composto da Strootman, De Rossi e Pjanic, ai quali si aggiungono le giocate sopraffine di Totti, che parte da finto nove per poi fare, nella realtà, il rifinitore. Anche questa squadra fa girare la palla tra i piedi eleganti dei suoi intermedi o del capitano per poi colpire l’avversario quando meno se lo aspetta, ai fianchi (con Maicon o Balzaretti) o al centro, con Gervinho.
E che la Roma, storicamente parlando, vada meglio quando può giocare in questo modo anziché quando è guidata da un mister da carica all’arma bianca, lo confermano anche le gestioni Capello e Spalletti. Il primo ha vinto lo scudetto e la Supercoppa con un centrocampo composto da Tommasi, Zanetti, Emerson (in parte), Delvecchio (spesso appostato sulla linea dei centrocampisti, seppur lateralmente) e lo stesso Totti, mentre Cafu e Candela scendevano sulle fasce per innescare Batistuta o Montella. Il secondo ha sfiorato il titolo (ma vinto Coppa Italia e Supercoppa) con la coppia De Rossi- Pizarro davanti alla difesa e tre incursori (Mancini, Perrotta, Taddei o Aquilani) dietro a Totti. Sempre possesso-palla e verticalizzazioni improvvise, centrali o laterali, per andare in gol quando l’avversario è ormai stordito e stancato. E poi tutte hanno avuto una difesa forte, come quella di Liedholm, che nel 1974- 75 subì appena 15 reti in 30 partite o quella di Capello, che nel 2000-01 ne prese 33 in 34 gare. A conferma di una storia che dice che in Italia vincono sempre le squadre che prendeono meno gol di quelle che ne segnano in abbondanza, ma hanno una difesa colabrodo.