(T. Cagnucci/ M. Izzi) – Un’operazione coi guanti quella compiuta ai danni della Roma nella stagione 2003/04, nel campionato che a un certo punto sembrava poter essere quello del quarto, meritatissimo, scudetto. Chirurgico il sistema di controllo verso i giallorossi: per due volte, nelle due partite che valevano il tricolore, a dirigere la squadra di Capello fu mandato l’arbitro giusto: Paparesta per Roma-Milan, quando i giallorossi erano primi in classifica 6 punti sopra i rossoneri e un successo sarebbe stato quasi sinonimo di scudetto; Messina per Milan-Roma, quando un successo avrebbe significato andare soltanto a -3 dal Milan a due giornate dal termine. Nella prima occasione, 6 gennaio 2004, gli errori furono soprattutto di Capello, nella seconda, 2 maggio di quell’anno, Messina negò un rigore clamoroso per un mani di Shevchenko in area, il Milan vinse partita (1-0) e scudetto. Al di là degli esiti della direzione arbitrale, pur evidenti al ritorno, non è casuale che a “controllare” le due partite chiave fossero stati mandati quelli che in assoluto veniva considerati gli “arbitri del Milan”. Paparesta è quello che tramite Meani e Galliani ha fatto recapitare un suo dossier a Gianni Letta (questioni di lavoro), Messina è quello che da Meani è stato rilanciato in carriera: nelle intercettazioni telefoniche si ascolta l’addetto degli arbitri del Milan dire al guardaline Contini: «Da quando ho rotto il cazzo, Messina è in prima fascia; a Copelli, guardalinee mondiale, la stessa cosa: «Oh! Hai visto sto rilanciando anche Messina». Un’operazione coi guanti perché il sistema è intervenuto chirurgicamente per non far vincere lo scudetto alla Roma, non in maniera grossolana come nella stagione 2002/03, quando l’ingerenza fu così smaccata (e quindi scoperta) da costringere addirittura i designatori a chiedere scusa. Nel campionato 2003/04 la Roma è stata fatta fuori al momento giusto, lasciata stare fino a quando si poteva ancora intervenire. In campo e fuori. La squadra, forte degli acquisti di Chivu, Carew, Mancini, parte alla grande, l’aria è quella di una super-formazione che il 30 novembre, undicesima giornata, diventa prima in classifica. Moggi torna a parlare di doping amministrativo, di penalizzazioni per le società non in regola con il fisco, fino all’eventuale revoca dello scudetto. La paura dell’asse Milan-Juve (al 30 novembre, rossoneri primi con la Roma, bianconeri un punto sotto) era proprio quella: Roma campione d’Italia soltanto due anni dopo il terzo tricolore della storia. Il 19 ottobre il Milan batte la Lazio 1-0 dopo che un gol regolarissimo di Stankovic viene annullato: l’arbitro è il signor Racalbuto di Gallarate, il guardalinee il signor Puglisi, cioè il “Puglia” quello che per tutti gli addetti ai lavori è “l’ultrà rossonero”. E’ l’antipasto. Il 27 novembre Franco Baldini risponde a Moggi: «Se gli attacchi sono rivolti alla forza della Roma, che è temuta in quanto squadra competitiva, allora li accettiamo come attestato di stima, se invece sono serviti a distogliere l’attenzione da altri problemi, come i favori arbitrali o il doping, allora Moggi è riuscito nel suo intento. Se devo pensare a lui come difensore mondiale dell’etica sportiva questo proprio non posso farlo.
La Roma aveva previsto i problemi finanziari, sin da quest’estate, ed ha scelto una strategia assolutamente consentita dalle leggi. Conosciamo la scadenza dell’UEFA e le rispetteremo o attraverso la cessione di calciatori o attraverso l’esposizione personale di Sensi, che può spendere i suoi denari come meglio crede. Quando Moggi parla di doping amministrativo… Che dire allora del doping farmacologico?». Pochi giorni dopo la conferenza di Baldini, la Lega rende noto il calendario dei posticipi del mese di dicembre: alla Roma vengono assegnate tre apparizioni notturne, rispetto alle due di Lazio, Inter e Juventus, mentre il Milan viene totalmente esonerato da questo tipo d’impegni. Ancora una volta Baldini protesta, sottolineando i problemi che il freddo può causare favorendo gli infortuni muscolari: fra il 25 e il 31 gennaio, il Milan scalza la Roma dalla testa della classifica ed effettua un allungo che si dimostrerà decisivo. La vittoria rossonera contro l’Ancona però è macchiata da due episodi: l’arbitro Palanca concede un rigore quantomeno dubbio per il vantaggio di Shevchenko a 20’ dalla fine dopo che nell’intervallo era stato visto Galliani andare nel suo spogliatoio. In risposta al clima che va maturando, il 26 gennaio uno strano attacco compare sul sito ufficiale del Milan: «Non sanno vivere senza veleni, non riescono a liberarsi da ossessioni ad orologeria. Non solo: tutti presi dal loro interesse di bottega, non si accorgono del rischio. A furia di incatenarsi ai cancelli della falsità e della cattiveria, sbattono sempre in prima pagina un brutto calcio. Il calcio dei pettegolezzi e dei complotti…. Lo sapevamo e per questo li aspettavamo al varco. Loro naturalmente si sono presentati puntuali all’appuntamento. Finché la Roma è stata prima in classifica tutto bene, il palazzo migliore in campo, il campionato bello, lindo e profumato… Perché con la loro caciara sono convinti di scrivere la storia vera del campionato, di avere in mano il registro dei buoni e dei cattivi. In realtà il loro tormentone è come le targhe alterne. Si rivela, ignobile e spudorato, solo quando il Milan avanza in classifica. Quando la squadra rossonera era dietro di 6 punti, gli spogliatoi erano deserti, Galliani mai nominato, gli arbitri idem.
Adesso che si avvicina il pericolo del Milan e di altre squadre, adesso che la Roma non è così prima e così lontana, ecco le incursioni di Galliani, i conflitti d’interesse, la sudditanza psicologica e tutti questi brutti luoghi comuni che daranno anche un senso all’esistenza dei complottari ma che certamente annoiano e intristiscono tutti coloro che vogliono continuare a credere in questo sport». Cinque giorni dopo, il 31 gennaio la Roma perde a Brescia per un rigore fischiato da Bolognino: l’arbitro evita di espellere Di Biagio (reo di un brutto fallo al 54’) e Martinez (che al 58’ colpisce Totti con un pugno allo stomaco). Nei giorni precedenti a Roma-Juve dell’8 febbraio, torna a parlare Franco Sensi: «Fino a quando esisteranno club anomali come Milan e Juventus la situazione non cambierà. La metà delle società in Italia paga i giocatori al 50% promettendogli poi di più e in questo modo non è pagata l’Irpef (…)». La gara con i bianconeri, con grande sorpresa, vede designare Collina. Il più famoso dei fischietti italiani non dirige i bianconeri da 9 mesi e l’ultimo Roma-Juve sfilato sotto i suoi occhi risale addirittura al 24 giugno 1996. Sarà un caso, ma tutto fila via tranquillo e la Roma la spunta con un roboante 4-0 (4 zitti e a casa che spingerà Moggi ad una nuova tirata sul doping amministrativo). Il 29 febbraio, mentre la Roma vince a Parma (e rimane a 5 punti dal Milan), arriva la notizia del fallimento della trattativa condotta dalla Nafta Moskva per l’acquisto della società di Trigoria. A margine di quella importante vicenda, Paolo Marcacci, sul mensile Forza Roma scriverà: «(…) abbiamo imparato a desumere l’andamento delle cose dai segnali che ci invia Fabio Capello durante le sue istituzionali conferenze prepartita: faccia, espressioni, aggettivi, avverbi. Ultimamente l’uomo di Pieris aveva l’espressione e il tono di voce di chi, forse, tutte tutte le sue fiches non le punterebbe sul futuro della Roma a grandi livelli». Qualche tempo dopo Capello fuggirà di notte a Torino, non prima di aver fatto giocare Zebina titolare (già promessosi al Milan prima di ripensarci per seguire il suo allenatore) e un incredulo Candela nella gara decisiva con il Milan. La trappola è pronta. Nella serata del 7 marzo, all’Olimpico, si verifica qualcosa d’incredibile. Già nel pomeriggio, a Brescia, una Juventus che soccombeva per 2-0, era approdata al successo grazie agli errori desolanti della terna arbitrale (Bertini-Puglisi-Ricci). La Roma, vedrà invece l’arbitro Rosetti annullare tre dei suoi giusti gol (dopo appena 4’ rete ad Emerson, al 37’, sempre sullo 0-0, a Totti ancora per fuorigioco inesistente e gemma finale al 42’ con rete invalidata a Samuel, inspiegabilmente). Nonostante questo inquietante rosario di errori, i padroni di casa travolgono 4-1 i nerazzurri e proseguono la propria marcia. La Roma è forte, va fermata scientificamente. Il 14 marzo, contro la Reggina, Paparesta (quello del dossier), dopo 20’, grazia Di Michele, già ammonito, per un terribile fallo da dietro su Mancini. Il 10 aprile, la Roma batte il Chievo, anche se Tombolini nega un rigore ai giallorossi e ammonisce Emerson e Dacourt che, diffidati, salteranno la gara successiva a Modena. Ma le chicche le stanno confezionando per il Milan. A San Siro, il 28 marzo, c’è il Chievo che non solo tiene botta ma va sopra 2-0 con Sculli e Perrotta. Viene annullato un gol per fuorigioco a Cossato, il guardalinee è Ayroldi quello, intercettazioni docet tra Bergamo e Meani, gradito al Milan. Poi c’è pure Paparesta che non solo dà 5’ inspiegabili di recupero, ma fa giocare fino al 97’ quando Shevchenko pareggia. Il Milan non è più brillante, la Roma comunque tiene e non rinuncia. A San Siro il 10 aprile c’è l’Empoli che tiene botta ma c’è anche Paparesta che fischia a 5’ dalla fine un rigore contro il portiere Balli che non può essere: segna Pirlo e salva tutto. Il Milan non brilla più, la Roma tiene la rincorsa, si arriva al 2 maggio allo scontro diretto, se si vince si va a -3 e due gare da giocare, tutto da riaprire. Ma Capello s’inventa una formazione incredibile, il Milan segna subito poi ci pensa Messina a non dare un rigore macroscopico per un mani di Shevchenko dentro l’aria e a consegnare lo scudetto ai rossoneri. I guardalinee erano Ivaldi-Pisacreta, gli stessi di Roma-Milan all’andata, gli stessi che una stagione dopo confezioneranno la rapina della Juventus all’Olimpico. Ma quella è un’altra storia. La stessa.