Si comincia con un gioco spontaneo di somiglianze tra i partenopei, senza che nessuno si offenda: Maggio è il sosia di Capello giovane, Don Rafae’ Benitez ha il profilo di Peppa Pig con gli occhiali.
È un Napoli che sembra voler forzare la mano alla partita, quello iniziale, grazie soprattutto al lavoro di Higuain che cuce le linee e riesce a portare Castan fuori posizione più di una volta, per poi rifinire a centro area dove Insigne e compagni arrivano con un millesimo di secondo di ritardo rispetto a quello giusto.
Come a dire che la Roma sta scartando il suo cioccolatino; il bocconcino giusto arriva dopo undici minuti e qualche spicciolo: corridoio in verticale e palla a Totti con Gervinho – il Perrotta nero – che parte sul centrosinistra. Pausa. Per dire che spalle alla porta e con un tocco di prima a disposizione, nessun altro al mondo è come il Capitano della Roma: ‘sta palla po’ esse fero e po’ esse piuma, direbbe il poeta, pesante come ghisa e impalpabile come un fiocco di neve, vergine e puttana al tempo stesso. L’appuntamento con Gervinho – con conseguente infarto dell’ennesimo cronometrista – è di puntualità sconcertante: ogni cosa, ultimo Reina, viene travolta dal solito dribbling accartocciato. Piove l’uno a zero sotto il tuono della Sud. Il Napoli resta alla ricerca di spiragli, confusionario come l’Hamsik perduto, mentre i suoi sostenitori fanno Piedigrotta dal settore ospiti. Il petardo più forte, però, arriva al minuto trentadue: il sinistro di Strootman brucia miccia e distanza, Reina smanaccia goccioline di frustrazione; sono due e il risultato tradisce una facilità forse eccessiva rispetto ai contenuti. Fatto sta che finisce la prima frazione coi partenopei tramortiti e Nainggolan che macina ettari di campo come nemmeno la locomotiva di Guccini seppe fare.
Tutti negli spogliatoi, De Laurentiis compreso.
Quando tutto ricomincia, impazzisce la palla, dopo due minuti, un rimpallo tra gli stinchi di Benatia e una smanacciata di De Sanctis che sorprende lui per primo. La palla va a morire un chicco di grandine prima del palo, dove nasce l’uno a due che nessuno avrebbe creduto, napoletani per primi.
Comincia un’altra storia, di spazi che si accorciano e inquietudini mai messe in preventivo. Nel mentre, Ljaijc, pettina per due volte il palo alla destra di Reina, che tra guanti e centimetri chiude la porta al tre a uno. Il fantasma di Hamsik cede la scena a Mertens, che coglie al settantunesimo un fiore di destrezza, per il pareggio che fa tremare il Vesuvio e che sottolinea come le partite ti possano voltare le spalle quando cominci a darle per scontate. Nel frattempo, Pjanic per Nainggolan, Destro per Totti, con l’Olimpico fradicio che si inchina al Capitano. Quasi tutti cominciano a fare i conti per il ritorno del San Paolo. Anzi: tutti tranne due, due che corrono sempre più delle lancette, perché Florenzi resiste all’istinto della soluzione personale su un rovesciamento di fronte da manuale e apre per Gervinho, che anche quando arriva da destra è sempre in corsia di sorpasso: Reina non fa neppure in tempo ad azionare il tergicristallo che…Il
solito sorriso da cartone animato mentre attorno tutto è orgasmo. Sono i goal di Gervinho, che ogni volta che se ne va sotto la curva rivedi Rocky con tutti i ragazzini che gli corrono appresso.
È sembrata una partita non italiana: il complimento più bello per chi l’ha resa così diversa dal resto del nostro calcio.
A presto, prestissimo, ricordando che San Paolo è soprattutto il patrono di Roma, lo stadio di Fuorigrotta è solo un dettaglio.
Paolo Marcacci