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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Bastos

Si gioca sotto il Vesuvio, ma il gioco delle tre carte lo fa Garcia, sin dall’inizio: niente Destro e Torosidis, Bastos e Romagnoli con Gervinho centravanti.
Roma guardinga inizialmente, via via più abile del Napoli nel trovare varchi; dopo dodici minuti Strootman saluta con una smorfia di dolore e un interrogativo sul suo ginocchio sinistro da sciogliere il prima possibile. Dentro Rodrigo Taddei, a reggere il pacchetto mediano assieme a Nainggolan. Il palleggio della Roma comincia presto a rubare l’occhio; il Napoli per essere una squadra che ha solo un risultato che può migliorarle la classifica,  fa poco nel primo tempo e quel poco grazie quasi sempre all’intelligenza calcistica di Higuain, che si danna l’anima per far girare l’intero reparto offensivo. Dal quarto d’ora in poi, lo sbracciarsi di Gervinho comincia a trovare assistenza: si aprono varchi in mezzo ai quali l’ivoriano entra come una moto in mezzo agli scooter; quando Fernandez e compagni tentano di andare a prenderlo esegue numeri, in frenata, che giustificano una similitudine: se avesse anche il tiro in porta, sarebbe già a Parigi e non al PSG ma al Louvre, in cornice, col divieto per i turisti di fotografarlo.
Maicon, Bastos, Taddei che merita una menzione speciale, il dinamismo assennato di Florenzi, il velluto di Pjanic: la Roma è bella, palleggia che è un piacere, impensabile non essere in vantaggio alla fine della prima frazione di gioco. Eppure così è: se lo scudetto fosse solo una questione estetica, i giallorossi sarebbero già campioni.
Tra fraseggi che rubano l’occhio e un ultimo, spietato tocco che manca al raggiungimento del vantaggio romanista, il secondo tempo comincia con un Napoli che trova qualche varco in più sempre grazie a Higuain che va a prender palla qualche metro più indietro. La palla continua a impazzire ogni tanto tra Bastos e Gervinho, ma l’effetto flipper non toglie nulla alla pericolosità potenziale di una Roma superiore ai punti e molto più bella dalla cintola in su: tutte cose che non finiscono sugli almanacchi.
Ci finisce purtroppo la capocciata di Callejon dell’ottantesimo minuto, quando l’ex madridista impatta con la fronte il cross di Ghoulam da sinistra, che sorprende Alessio Romagnoli e vanifica l’attenzione massima evidenziata da De Sanctis per tutta la partita. Un peccato vero, che esige approfondimento e riflessione. Nel frattempo, Ljajic aveva rilevato Destro e Insigne lo spento Hamsik.
Un pugno di minuti per Destro, alla fine, al posto proprio di  Romagnoli, frastornato, con Bastos che si abbassa.
Finale con una punta vera in mezzo all’area, dunque: si cerca lucidità residua per non pentirsi amaramente, almeno non del tutto. Di Ljajic, da quando è entrato, nessuna traccia.
La Roma di un grande Nainggolan, di Benatia gran visir dell’area di rigore, del Pjanic che ha nel piede la delizia che sappiamo, ha messo paura al San Paolo per ampi tratti di partita: alla fine dei tre minuti di recupero decretati da Rocchi – l’arbitro meno condizionabile in assoluto, al momento – porta via da sotto il Vesuvio soltanto rabbia e recriminazione contro se stessa.
Comincia ora un altro campionato, da guardare sempre avanti ma con lo specchietto retrovisore sempre lucido.
Mai come stavolta, chi è causa del suo mal deve piangere se stesso, mentre a Fuorigrotta più che esultare tirano un sospiro di sollievo.

Paolo Marcacci

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