
Prendiamo il caso dell’ipotetico parco attaccanti che Cesare Prandelli dovrebbe portare con sé in Brasile: non si capisce perché si debba partire dal presupposto che l’inamovibile per eccellenza sia Mario Balotelli. Il dissociato da tre quarti del proprio spogliatoio nel Milan; il mal sopportato dai dirigenti rossoneri; l’incapace a darsi una linea di condotta sensata e durevole al di là dei proclami sbandierati ogni volta che viene perdonato per una qualche idiozia commessa dentro o fuori del rettangolo di gioco. Inoltre e in primo luogo, il mai più decisivo, quello dal rendimento prima ondivago poi addirittura ridicolo, quello dai numeri imbarazzanti, quello che costringe Seedorf a metterlo in panchina perché in settimana non lo vede concentrato durante gli allenamenti.
E Destro, Immobile, Cerci? Magari due su tre costretti a restare a casa, nonostante il rendimento e nonostante l’unanimità dei consensi supportata da numeri indiscutibili. A loro, senza arrivare a scomodare le questioni di Totti e Cassano, andrebbe consigliato di abbigliarsi come rapper, distruggere fuoriserie, fare molta più vita notturna in modo tale da avere credenziali da giocarsi sia contro Balotelli che contro Osvaldo, un altro che probabilmente in Brasile ci andrà a dispetto di numeri e comportamenti.
Non è con Prandelli che nasce la questione delle convocazioni in azzurro che sembrano ignorare i verdetti del campionato, basti pensare ai tempi di Bearzot; però certe alchimie si ripetono con difficoltà e soprattutto, guardando Balotelli e pure Osvaldo, difficilmente viene in mente Paolo Rossi.