Paradossi di un campionato troppo italiano: a Lina Wertmüller sarebbe piaciuto questo lungo titolo che è anche un modo di sintetizzare lo strano epilogo di stagione che la Roma di Garcia si trova a vivere. Esaltante e frustrante al tempo stesso, con il risultato già in cascina dell’ingresso diretto in Champions e la consapevolezza di aver prodotto e mantenuto numeri da record in varie graduatorie settoriali di rendimento, ma senza il primato.
Questo non vuole affatto essere il solito e secondo qualcuno immotivato discorso su arbitri, strapotere juventino, episodi a sfavore e chi più ne ha più ne metta. Abbiamo la presunzione di non essere così prevedibili.
Questo, casomai, ha la pretesa di essere un ragionamento politico, in senso lato e dilatato, se volete, ma pur sempre politico.
Parliamo di sudditanze, allora: non quella dei direttori di gara, altro discorso vecchio come il cucco; un classico tutto italiano è la sudditanza di alcuni, piuttosto numerosi in verità, avversari delle grandi, non necessariamente della Juventus. Ogni tipo di striscia verticale alternata al nero va bene, come dimostra anche Milan-Livorno della scorsa settimana, con pochissime rimostranze da parte degli amaranto e di Di Carlo che pure ci ha rimesso la panchina.
Si cominciò d’autunno con lo scempio di Paloschi e con Campedelli che invece di infuriarsi invitava ad essere umanamente vicini al guardalinee; si è proseguito con partite senza attaccanti titolari da risparmiare per scontri diretti, giocatori in comproprietà non schierati, presidenti già sconfitti nelle dichiarazioni della vigilia.
Questa è politica nel senso che la comunità calcistica italiana e la sua conseguente agorà mediatica evidenziano alcune peculiarità che all’estero sono sconosciute e sorprendenti, se osservate con occhi non smaliziati quanto i nostri. Nei nostri, di occhi, restano le immagini di un Sunderland derelitto che va a sputare l’anima sul terreno di Stamford Bridge e porta via l’intera posta – persino con qualche svista arbitrale a suo vantaggio -, ammazzando le ambizioni di un Chelsea imbufalito da Mourinho ai magazzinieri. Restano come cartoline da un mondo altro, dove tra le tante certezze c’è quella di doversela sempre giocare, indipendentemente dal nome che si porta. Perché da noi, invece, la politica arriva persino prima della disperazione e di conseguenza, indipendentemente dalla superiorità schiacciante della Juventus, già sappiamo che dal Sassuolo lunedì non ci si potrà aspettare che faccia il Sunderland. Pronti a chiedere scusa in caso di smentita, ovviamente; ma anche in quel caso la statistica non verrebbe intaccata.