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IL FATTO QUOTIDIANO L’Italia di Prandelli. O a brandelli

Cesare Prandelli
Cesare Prandelli

(O. Beha) – Ci sono i Mondiali e Coverciano diventa la capitale del Paese, almeno nei soffocanti interessi calcistici di un’Italia che non sia quella di Napolitano (casomai arriva di corsa per l’inno…). Non sembra di particolare interesse, almeno qui da noi, che il Paese che incarna il calcio si stia ribellando socialmente contro l’Evento; che metta a ferro e fuoco San Paolo e abbia nel mirino Rio; che chiami Pelé “traditore del suo popolo” negli striscioni delle manifestazioni di strada; che identifichi nel governo “lulesco” di Dilma Rousseff, originato in teoria “dal basso”, e nei vertici della Fifa di galantuomini come Blatter, l’uomo del Qatar e dei sospetti (!!!) di corruzione, che con il “basso” del calcio vero non hanno nulla a che vedere, i due nemici del popolo brasiliano.

NO, QUESTO ci interessa poco o niente e la profonda contraddizione di un pallone ammutinato la disinneschiamo tacendola. È un po’ come è successo ai venditori del prodotto rotondo che spacciano anche le partite dell’ultima giornata come “grandi dimostrazioni di sportività”: quasi fossimo tutti fessi e ciechi. Ma è la regola del capitale e della capitale (Coverciano), quella del calcio a qualunque costo. In attesa che Beppe Grillo reiteri il tifo pro Ghana del 2006 che portò a quanto pare benissimo (anche se prevedo che non farà questo errore autolesionistico anche solo per non annoiarsi nella ripetizione), ci si concentra sul listone prandellesco che deve lasciare a casa sette convocati più il quarto portiere, oggi di nome Mirante. Poi toccherà al paio di amichevoli, una a Londra con l’Eire nel famoso stadio del Fulham… scelto esclusivamente in base al criterio del “chi offre di più?”, l’altra a Perugia addirittura col Lussemburgo.

CHE ITALIA SARÀ, ci si chiede per capire se i Mondiali brasiliani da disputare “a qualunque costo” saranno occasione di festa anestetica o di depressione, quindi un’Italia di Prandelli con l’ottimismo imbonitore di Renzi o brandelli d’Italia in sintonia con la crisi del Paese? Dopo aver raccontato i “biscotti” del 1982 dove l’Italia di Bearzot trionfò a sorpresa con il conforto di circostanze esterne immediatamente sotterrate, e aver ipotizzato alla vigilia del 2006 un’Italia di Lippi vincente anche solo come toccasana del dopo-Calciopoli, mi ritrovo nel livellamento planetario verso il basso a considerare una sorta di via di mezzo per la Nazionale di Prandelli. Una Nazionale democristiana, come il suo ct, rivelatosi in questo quadriennio un discreto assemblatore e pastore di garretti dopo un buon lavoro svolto da tecnico societario nella quotidianità del campo.

Molto del cammino italiano da Fitzcarraldo in Brasile dipenderà dalla serenità del condottiero, come del resto è sempre accaduto in passato. La democristianità antropologica di Cesare Claudio, nomina omina di rilievo per un cognome più andante, è fatta di competenza, prudenza, un pizzico di audacia e un utile lenzuolo di ipocrisia, ovvero etimologicamente di “sottocritica”. Si è comportato così tra grandi dolori e grandi soddisfazioni nella sua vita personale e in quella tecnico-agonistica, di calciatore prima e di allenatore poi. Sa di avere una squadra media, con poche star ma senza buchi eccessivi. Per la difesa si è da sempre juventinizzato, rischiando il ludibrio del codice inetico pur di cementarla con l’energumeno (prezioso) Chiellini. A centrocampo bisognerà vedere quanto sarà Pirlodipendente, anche se la giovinezza relativa dei De Rossi e dei Marchisio potrebbe essere addirittura più importante.

Davanti se ci crede può disporre del miglior calciatore italiano, come intelligenza, tecnica e rapporto persona- atleta: mi riferisco ovviamente a Giuseppe Rossi, la cui stamina profonda sarebbe sufficiente per tutta la comitiva. Poi ci sono Cassano e Balotelli, sregolati quanto basta, e il duo del Torino da sprovincializzare. Nel complesso una squadra da prime otto che una ventata di entusiasmo spingerebbe tra le prime quattro. Non credo insomma a rischi sudafricani né a cavalcate delle Valchirie, riandando agli ultimi due Mondiali.

Spero in una gestione trasparente della missione “azzurra”, in spese non eccessive né offensive, in una pattuglia e non in un plotone di dirigenti, e dubito della scelta delle famiglie in side-car, a partire da Prandelli già pizzicato a incamerare il figlio nello staff due anni faneanche fosse un Papa rinascimentale. Non è con i fasti che si vince un Mondiale, ma solo con l’organizzazione e una consapevolezza di sé che è prima culturale e poi calcistica. E questo i democristiani l’hanno sempre saputo benissimo.

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