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LA REPUBBLICA Prandelli ora pensa a un’Italia mai vista

Prandelli
Prandelli

(E. Currò) Il camaleonte non appartiene alla composita fauna amazzonica. Ma la Nazionale di Prandelli si candida a colmare presto la lacuna a Manaus, dove debutterà al Mondiale il 14 giugno con l’Inghilterra. Il ct sta infatti provando a Coverciano a porte chiuse una novità tattica assoluta: variare modulo anche nel corso della stessa azione, per sorprendere appunto gli avversari con un cambio di pelle mai così spinto. La nuova frontiera, che esige accurate sedute di assimilazione sul campo, prevede il passaggio istantaneo dalla linea a 4 a quella a 5 in fase difensiva e l’analogo, repentino infoltimento del centrocampo quando la squadra attacca. Nell’automatismo rientra il processo inverso: l’obiettivo è che i rivali, confusi dal vortice e impreparati ad affrontarlo, ne restino inghiottiti. Perché il progetto funzioni e assurga a prototipo storico, come il calcio totale olandese nel 1974 o il tikitaka spagnolo nel 2010, occorrerà soprattutto il perfezionamento del meccanismo finale, l’innesco al gol e in particolare lo sfruttamento pieno delle doti uniche di un centravanti anomalo come Balotelli. Il quale ieri ha appreso che il Milan lo metterà sul mercato, dopo il Mondiale, per finanziare la campagna acquisti. Ma l’effetto del ripudio, per paradosso, potrebbe essere utile alla causa prandelliana. La prospettiva dell’eventuale addio alla maglia rossonera rafforzerà il senso di appartenenza dell’inquieto talento alla sola squadra che lo abbia finora riconosciuto come insostituibile: la Nazionale. Non è un caso che, in un’autointervista per la Puma, lui si sia spinto parecchio avanti. «Siamo più forti rispetto all’Europeo. E il mio contributo, come quello di Pirlo e Buffon, è molto importante».

Non è un caso nemmeno l’arrivo anticipato agli allenamenti, in contrasto con le recenti consuetudini a Milanello e in un’inusuale gara di puntualità con l’altro redento Cassano. Né è infine casuale la convinta partecipazione alle suddette prove tattiche. Il cui caposaldo è chiarissimo: l’arretramento o l’avanzamento di De Rossi, ad affiancare Barzagli e Chiellini davanti a Buffon oppure a liberare Pirlo dalla marcatura fissa, che gli strateghi nemici sistematicamente studiano per asfissiare il genio della lampada azzurra. Elementi nient’affatto accessori dello schema sono le discese e i ripiegamenti degli esterni, fin qui Darmian a destra e De Sciglio a sinistra.

Il ripetersi delle situazioni è più di un indizio: il ventiquattrenne Darmian – e con lui Verratti, tra i più in forma secondo responso dei test atletici – per gioventù e curriculum potrebbero ripercorrere un classico della tradizione: il felice lancio del virgulto alla vigilia del Mondiale, che ha in Cabrini, Paolo Rossi e Bergomi gli esempi sommi. Il pacato torinista, tra i pochi azzurri sprovvisti di tatuaggi, accarezza l’idea. «A inizio stagione non pensavo di potere andare in Brasile ». Lo aiutano la duttilità – terzino o esterno di centrocampo, a destra e a sinistra, ma anche centrale difensivo – il carattere che i tifosi granata definiscono “da figlio del Filadelfia” (per educazione e valori sportivi) e l’eccellente campionato: il fratello di Conte, osservatore, ne ha caldeggiato l’acquisto da parte della Juve. Lo rimpiange il Milan, che lo pescò undicenne a Rescaldina, il paese di Marco Simone, lo allevò nel settore giovanile e lo fece esordire in A a 17 anni nel giorno dell’addio di Costacurta, salvo lasciarlo partire per Padova e poi per Palermo, in cambio di soli 500 mila euro. «Non so perché non mi abbiano tenuto. So solo che io avevo bisogno di giocare».

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