(M. Cecchini) – Un germe della grandezza di Roma – della sua Grande Bellezza, diremmo in questo anno da Oscar – forse sta proprio nella sua eterna diversità. Se Lev Tolstoj scriveva che «tutti i matrimoni felici si assomigliano, mentre ogni matrimonio infelice lo è a modo suo», l’universo giallorosso scopre un diverso modo di essere sereni. Nelle settimane in cui Conte e Mazzarri proseguono il loro rapporto con Juve ed Inter senza volutamente allargare i propri orizzonti temporali, Inzaghi per ora è nient’altro di più che una deliziosa scommessa e Montella mostra dei dubbi sulle possibilità di crescita della Fiorentina, Rudi Garcia ha accettato con convinzione di rinnovare il suo rapporto con la Roma fino al 2018. Non nascondiamolo: già adesso l’allenatore francese – vera rivelazione della stagione – avrebbe avuto la possibilità (al netto del contratto) di andare a guidare club europei di prima fascia.
Il fatto invece che abbia scelto di restare e sposare il progetto Usa per un periodo così lungo, dimostra senz’altro che crede nella bontà del futuro che incombe. D’altronde a Trigoria, nei giorni in cui si parlava del suo rinnovo, tutte le fonti concordavano nel legare le richieste di Garcia non a una questione economica bensì di programma. «Ambizioso»,infatti, è l’aggettivo più comunemente associato al suo carattere. E allora è lecito dire che il francese abbia sposato la linea dirigenziale sotto tutti gli aspetti: tecnico (una rosa mix tra giovani ed esperti), finanziario (niente investimenti folli e ingaggi sempre sotto controllo) e strategico (le partnership estere e soprattutto la costruzione del nuovo stadio). Ciò che serve per immaginare come gli auspici di Pallotta nei suoi confronti – «diventerà il nostro Ferguson » – si concretizzino.
Piano però con le facili sovrapposizioni. Il calcio italiano non è pronto per una figura di tecnico-manager alla sir Alex, ancor più in una piazza come Roma, dove allenare una squadra significa anche «allenare» una città. Non è un caso che ieri il d.s. Sabatini abbia ribadito come Garcia non sarà «un uomo solo al comando» perché probabilmente il francese (come chiunque) finirebbe per perdere lucidità nel proprio lavoro. Insomma, in prospettiva Garcia sarà sempre più il «front-man» della Roma che verrà, ma alle sue spalle avrà una band a suonare, ad esempio con solisti in stile Sabatini, pronti a svolgere conferenze show che, al momento, Marotta, Ausilio, Bigon, Pradè e Galliani non sarebbero in grado o non si sognerebbero di fare. Nell’Anno di Grazia 2014, una diversità inequivocabile. Quanto basta per sperare nel migliore dei mondi possibili.