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IL FATTO QUOTIDIANO Il giocattolo è arrugginito. Dov’è finita l’allegria?

Logo Mondiali 2014
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(O. Beha) – L’allegria non è mai stupida, verseggia il poeta sulle tracce dell’allegria francescana cui fa riferimento spesso Papa Bergoglio tifoso del San Lorenzo e del calcio. Allegria che era, dovrebbe essere e non è più un festival pallonaro come i Mondiali. Vi pare infatti che sia allegro, porti gioia di vivere, sia una promessa di felicità? Credo proprio di no. È una cappa pesante non tanto di afa e di umidità, bensì di denaro & potere che corrompe di qua e sfigura di là. Lo so, state pensando che non si presentano così i Mondiali, che diffondo pessimismo invece che imbonire i lettori, che sto vendendo male la mia merce. In un certo senso avete anche ragione. Con tutto quello che ci succede un mese di partite a ogni pie’ sospinto in tempi di scandali, crisi e cinghia tirata parrebbe l’ideale per distrarsi. E giacché comunque anche così mal ridotto, il calcio dispone di un potenziale anestetizzante e onirico straordinario, sfruttiamolo al meglio. Peccato che chi scrive non debba vendere “quella” merce, che invece è sul bancone mediatico, politico e politico sportivo nelle dosi macroscopiche che sapete. Peccato che il calcio nei suoi risvolti extra-campo abbia travolto il suo quid ludico rendendolo a brandelli insieme alla credibilità di quello che vediamo: sarà combinata quella partita oppure è vera? E le scommesse su qualunque cosa avvenga sul terreno di gioco, dalla prima espulsione al momento in cui viene sostituito il terzo tipo di una squadra condizionano o no lo svolgimento degli incontri? Ecc. ecc.

Per carità, niente di nuovo oramai da tempo, anche se il denaro e le tecnologie hanno elevato a potenza un prodotto drogato deprivandolo sempre più della sua radice giocosa. E qui siamo alla autentica novità di questo Mondiale, che non consiste tanto o soltanto nel dubbio su chi lo vinca, sui favoriti, sulle “mode” tattiche, sul giocatore che esploderà e quello con la miccia bagnata, no. La novità di Brasile 2014 è che non c’è più allegria. Anche se lo dovesse vincere la Nazionale di casa, e sarebbe la sesta volta dopo una dozzina d’anni dall’ultima escursione coloniale in Estremo Oriente, probabilmente non ci sarebbe allegria, per lo meno non come siamo abituati a registrarla nel Paese che è il calcio, e il samba, e il carnevale, che ha convissuto con la miseria pur essendo straricco di materie prime grazie a un’allegria naturale e culturale insieme, che il calcio esprimeva benissimo. ADESSO chi ha il coraggio di evocare l’allegria con quello che sta succedendo nelle strade e nei cantieri per stadi raffazzonati in extremis? Chi può evitare di giustapporre il socialismo di Lula e Rousseff calcisticamente protesa alla rielezione a questa scarnificazione anche del Diversivo Rotondo? Romario contro Pelé, la strada contro il Palazzo, la sensibilità contro le istituzioni, un Brasile che si sta ammutinando contro se stesso e le sue tradizioni più peculiari perché non ce la fa più.

E dunque se al calcio viene a mancare l’allegria, bisogna forse rivedere tutto. Anche perché non è certo colpa del calcio, della sua mitologia a presa rapida e della sua resistenza al degrado nonostante tutto, se l’allegria se ne è andata, non essendo più compatibile neppure con una recita collettiva. Il calcio, e la vetrina dei Mondiali lo riflette alla perfezione, non riesce più a fungere da arma di distrazione di massa da tutto il resto, perché risente al suo interno delle logiche di tutto il resto. Quindi gli scandali di Blatter e la resipiscenza di Platini (fair play o non fair play finanziario? L’unico che gli interessi è il fair play politico della sua carriera), scendendo per li rami fino alle nanerie di casa nostra (di Casa Italia), l’onnipotenza della tv, le regole del gioco dell’organizzazione di un Mondiale che invece di migliorare stanno peggiorando socialmente le condizioni di chi lo ospita, e si tratta del Brasile leader planetario del settore, finiscono nello stesso calderone oramai ai limiti della sopportabilità. Quindi con un’allegria polverizzata o a scartamento ridotto.

La qualità, la tecnica, lo spettacolo, gli ingredienti vecchi quanto il cucco eppure ancora in funzione in un “rettangolo verde” si sono degradati anche perché il gusto estetico dell’appassionato ormai conta poco e niente, mentre come detto il gusto etico ha subito un vero e proprio inabissamento. In questi giorni non sarà il campo a farla da padrone, bensì la gestione delle immagini del campo quasi sempre a fini non strettamente calcistici. Non l’azione in sé, sempre meno allettante per cui si è costretti a millantare straordinarietà di fronte a un’ordi – narietà davvero modesta, ma l’azione che può permettere l’uso della polemica, del gossip, del fuoricampo che è miniera mediatica e di costume ormai infinitamente più ricca del calcio inteso come tale. E anche in questo senso la Rotondolatria non basta più a se stessa, e segue le strade di tutto il resto. Tra uno stop azzardato di Chiellini e quello che succede nel costoso ritiro azzurro, per il gusto sensazionale del pubblico non c’è lotta. Anche nel calcio è il retrogusto a prevalere. Ed è un’altra manifestazione di allegria in perdita. Ma i Mondiali ci sono e vanno raccontati. Magari con l’idea geopolitica che prima o poi verrà smentita la formula del calcio alla Monroe, ovvero “In Europa non vince una sudamericana, oltreoceano non vince un’euro – pea”. Nella mediocrità dilagante e nel Brasile ammutinato magari vince la Germania (dopo 24 anni…) o di nuovo la Spagna… Certo, vincesse la Colombia…

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